Donne impresa 3. Appasionata di running, l’imprenditrice è presidente del colosso della ristorazione collettiva per scuole, ospedali e aziende con l’obiettivo di raggiungere quota 800 milioni di fatturato
Corre con continuità tre volte alla settimana, ma è runner anche nella vita e nel lavoro. Chiara Nasi, emiliana, avvocato, 47 anni, un figlio di nove, dal giugno del 2013 è presidente di Cir food, uno dei big della ristorazione collettiva per scuole, ospedali e aziende, con 547 milioni di euro di fatturato 2015 (+7,9% rispetto all’anno precedente), 11.500 dipendenti in 15 regioni italiane, 1300 strutture produttive, 6751 soci cooperatori, 82 milioni di pasti in un anno. In Cir food Nasi approda nel 1995 dando vita all’ufficio legale interno dell’impresa cooperativa, per passare dopo qualche tempo al ruolo di direttore Risorse umane, occupandosi di organizzazione, sviluppo delle carriere e relazioni industriali. Chiara Nasi è una delle protagoniste del primo rapporto redatto nel 2016 sulle aziende gestite dalle donne da Confimprese, associazione del commercio che riunisce 100 marchi imprenditoriali. “Il 20% dei nostri numeri uno è donna” afferma il presidente Mario Resca.
“Non pensavo di fare il manager – premette Chiara Nasi -, per due anni ho esercitato la professione di avvocato, per la quale avevo studiato, ma poi ho preferito la carriera aziendale. Amo questa impresa, ci sono nata, cresciuta e mi dà grandi soddisfazioni”. Da quando esiste, Cir food non ha mai chiuso bilanci in rosso, non è mai retrocessa neanche in tempi di crisi e già tre anni fa aveva imboccato una strada di crescita dei ricavi e di miglioramento della redditività. Quest’anno ha pubblicato il bilancio di sostenibilità, il primo redatto da un’impresa italiana di ristorazione.
L’obiettivo è raggiungere nei prossimi cinque anni 800 milioni di euro di fatturato con 75 milioni di investimenti per nuove iniziative. “Sono partita – racconta Chiara Nasi – da una buona base, era un’impresa ben governata e ho imparato tanto da chi mi ha preceduto”. Con lei in Cir food è arrivata la velocità. “Abbiamo cambiato ritmo, eravamo più lenti, non ce lo possiamo più permettere”. La nuova fase prevede anche un nutrito piano di welfare aziendale, sperimentazione di smart working, efficienza energetica, azioni di contrasto allo spreco alimentare con progetti di educazione ambientale per le scuole come “Good food bag” che consente ai bambini di portare a casa pane e frutta non consumati.
Il piano strategico per il prossimo quinquennio prevede l’allargamento dal solo pubblico anche al mondo del privato: sarà questo il passaggio epocale dell’azienda cooperativa di Reggio Emilia. “Lavoriamo tanto con la pubblica amministrazione – spiega la manager – e nonostante sia molto penalizzata dal contenimento della spesa, dal clima generale, dagli scandali che per fortuna non ci coinvolgono e dalla crescita economica del paese tanto declamata che non c’è, rimane il nostro core business. Ma ci stiamo spostando verso il privato e verso l’estero”.
Per smarcarsi e riequilibrare, Cir food sta rilanciando i suoi punti vendita con un piano di aperture e progetti per sbarcare in Europa. Con nuove acquisizioni, partendo dal Belgio dove ha già la società ‘Esedra‘ a Bruxelles che gestisce asili nido per la Comunità europea, ed è in fase di valutazione l’acquisto di un altro marchio affermato nel settore della ristorazione aziendale.
“Nel piano di investimenti di 75 milioni, oltre i canonici 75 investiti ogni anno nella ordinaria amministrazione, privilegeremo centri commerciali, autostrade, aeroporti, stazioni” afferma la presidente di Cir food, forti dei marchi mostrati all’Expo, come Chicco Tosto per i bar, Via vai per i piatti tipici italiani, Tracce, ristoranti con la formula self service e Let’s toast, solo toast con pani particolari e imbottiture gourmet. Una manager di successo, Chiara Nasi, corteggiata come è ovvio dal mercato? “Non tanto – confessa candidamente – ma le poche volte che mi hanno chiamata per farmi un’offerta, ho declinato. Ho troppi progetti che mi preme vedere realizzati”.
Patrizia Capua, La Repubblica