Il nuovo presidente ha una lunga carriera in tutto il mondo: P&G, Fila, Ferrari e per 15 anni Cty, il leader dei profumi. Calenda: “Una scelta che indica la volontà di rendere agile e operativo l’Istituto del commercio estero”
Se è vero che stiamo uscendo dalla crisi, e che il primo obbligo è ricostituire una base industriale che si è erosa di oltre un quinto e deve recuperare al più presto la vocazione esportatrice, quale agenzia pubblica è più importante dell’Ice, Istituto del Commercio estero? Ma se si pensa a un ente così burocratizzato e inefficace che perfino Tremonti pensò di sopprimerlo e che Monti miracolosamente riesumò, a cosa si pensa? Sempre all’Ice. Qui sta l’ennesima sfida del governo Renzi. Rianimare l’Ice riscattandolo da un passato da dimenticare con un’iniezione di efficienza e managerialità. Un processo che è stato avviato con la gestione di Riccardo Monti, piazzato dall’altro Monti nel 2012 nel difficile ruolo di rianimatore. Ma adesso è il momento di cambiare decisamente marcia. L’uomo sul quale ricade questo macigno di responsabilità si chiama Michele Scannavini, è un manager nato nel 1958 a Milano, laureato in Economia alla Bocconi nel 1984, che ha alle spalle una lunga carriera internazionale. E che ha battuto sul filo di lana, per espressa volontà del nuovo ministro dello Sviluppo, Carlo Calenda, un economista di altrettanta provata competenza come Marco Simoni.
“Ha un suo posto prezioso nello staff economico di Palazzo Chigi”, ci ha mormorato il sottosegretario Claudio De Vincenti al Festival dell’Economia di Trento. Così è stato, anche perché Calenda non avrebbe sentito ragioni. Ora siamo ai passaggi burocratici. Il 2 giugno il consiglio dei Minisri ha nominato il cda: Giuseppe Mazzarella in rappresentanza dei piccoli imprenditori (ha un calzaturificio a Macerata), Niccolo Ricci per il fashion (fondata da suo padre la maison fiorentina), Licia Mattioli per la Confindustria (vicepresidente nella squadra di Boccia dopo esserlo già stata in quella di Squinzi con la delega per l’internazionalizzazione), Luigi Scordamaglia (ad dell’Inalca del gruppo Cremonini e presidente della Federalimentare) e appunto Scannavini. Appena sarà pubblicato in Gazzetta il Dpr di conferma, il consiglio si riunirà e lo nominerà presidente per un quadriennio. Lui, in silenzio, ha per la verità già cominciato a lavorare nella sede romana di fronte all’ex palazzo della Dc di piazzale Sturzo. Lo ha fatto in modo talmente informale che, pur con tutta la cortesia, non ha voluto parlare, salvo affidare alla agenzie una breve dichiarazione di circostanza: “La crescita del Made in Italy è un obiettivo affascinante cui mi dedicherò con il massimo impegno”.
Il ministro Calenda ha ribadito la settimana scorsa a Repubblica delle Idee: “Abbiamo fatto una scelta manageriale per trasformare l’Ice da ente secondario in motore dello sviluppo internazionale del Paese”. Ma come si è arrivati al nome di Scannavini? Per un mix di esperienza e competenza indiscutibili ma anche di buone frequentazioni. Scannavini non si è mai appoggiato direttamente su qualche “salotto”, però – ed è qello che più conta – ha sempre mantenuto ottimi rapporti con le reti informali, del tutto lecite intendiamoci, del potere che conta. C’è il gruppo dei manager cresciuti in Procter & Gamble dove ha lavorato dal 1984 al 1990 quale brand manager health & beauty: una diaspora di gran prestigio, da Fabrizio Freda, oggi Ceo di Esteè Lauder, a Vittorio Colao grande capo di Vodafone, da Nani Beccalli-Falco per decenni ai vertici GE a Riccardo Zacconi guru della King. C’è poi l’infinito clan dei bocconiani, da Francesco Trapani (ex Ceo di Bulgari) a Monica Mandelli managing director di Goldman Sachs, per non parlare di economisti del livello di Roubini e Alesina, tutti in ottimi rapporti con il newyorkese acquisito Scannavini. Ma soprattutto ci sono, appunto, i Montezemolo Boys. Tutti i protagonisti di questa storia ruotano intorno a lui, e molti hanno lavorato a qualche titolo a Italia Futura, un po’ think-tank e un po’ partito politico, da Calenda a Simoni fino sia pure in misura defilata a Scannavini. Con cui l’amicizia è però più antica: quando tornò in Ferrari da presidente a fine 1991 (era stato direttore della squadra corse dal 1973 al 1977, Enzo Ferrari regnante, gli anni eroici di Niki Lauda), l’attuale presidente dell’Alitalia andò a pescare proprio Scannavini, che allora era capo del marketing in Galbani (non lontana dal gruppo Agnelli perché a quel tempo era un condominio Ifil-Danone) per fare il “vice president marketing and sales”, in pratica il numero due. Alla Ferrari (dove rimane dall’inizio del 1992 al 1999) la stella di Scannavini comincia a brillare.
Negli anni a lui vengono accreditate alcune delle svolte epocali del cavallino rampante: l’apertura di molti mercati emergenti a partire dalla miniera d’oro della Cina, lo start-up del programma di personalizzazione che piace da impazzire ai ricconi americani e sauditi, l’espansione del piano di licenze e quindi il boom dei negozi Ferrari dove si vendono dalle tazzine agli scendiletto griffati, l’integrazione commerciale con Maserati. E altri achievement ancora. Tanta gloria (oggi riassunta su Linkedin) non poteva passare inosservata presso gli head hunters che prima di Linkedin controllavano il mercato. Così nel 1999 diventa Ceo della Fila, ancora una volta non troppo lontana da Mirafiori, anche se in cerca di un’identità: è allora in corso la tempestosa scissione della troppo diversificata Gemina in due tronconi industriali, e l’azienda di abbigliamento sportivo di lusso Fila si trova a fianco dell’editoriale Rcs-Rizzoli in Hdp in un’eterogenea congerie a cui a un certo punto si aggiungerà perfino Valentino. Quando tutto inevitabilmente si sfalda, e la Fila in particolare è sul punto di essere ceduta al fondo americano Cerberus (che come previsto la gestì malissimo), Scannavini saluta e se ne va. È il 2002 e accetta la presidenza a New York di Coty Prestige, la divisione più importante del megagruppo della bellezza franco-americano fondato a Parigi da Francois Coty nel 1904, poi fallita all’epoca della Grande Depressione (quando le vendite crollarono da 50 a 3 milioni di dollari fra il 1929 e il 1933), infine ricostituita nel dopoguerra e oggi fra i primi dieci gruppi mondiali del lusso. Scannavini mantiene l’incarico per ben dieci anni, durante i quali moltiplica il fatturato per 4 volte e i profitti per 10, guida l’acquisizione della potente divisione “beauty” della Unilever che produce i profumi venduti con marchi quali Calvin Klein e Chloe, aggiunge alla lista delle licenze (cioè i brand per i quali produce i profumi) una fitta schiera di nomi come Marc Jacobs, Bottega Veneta, Miu Miu, Cavalli, Balenciaga. Insomma proietta la Coty dall’isolamento un po’ scomodo del “terzismo” a una posizione di riferimento nell’universo delle “fragranze”. Finché nel 2012 l’ennesimo salto, e stavolta è davvero glorioso: viene nominato Ceo dell’intero gruppo Coty. Che porterà l’anno dopo alla quotazione a Wall Street e accompagnerà attraverso una serie di trasformazioni che lo rendono il colosso attuale (fatturato 2015: 4,7 miliardi di dollari, dipendenti: 12.000, margine operativo: 12%). Rafforza sia i processi di innovazione che quelli organizzativi, crea il centro di “digital competence”, accellera lo sviluppo nei mercati emergenti alzandovi il fatturato dal 23 al 28% del totale. Solo la fine è avvolta nel mistero: all’improvviso, il 29 settembre 2014, Scannavini rassegna le dimissioni. Rimane a New York dove apre una sua piccola società di consulenza nel settore “luxury”, e per ironia della sorte, pochissimi mesi dopo la Coty annuncia l’acquisto della divisione profumi della Procter & Gamble, l’azienda dove tutto era cominciato. Ma anche per lui, Scannavini, c’è ben presto un ritorno agli antichi amori professionali: all’inizio del 2015 diventa consigliere d’amministrazione della Tod’s di Diego Della Valle, sodale favorito di Montezemolo. Non solo sul piano aziendale: in quel momento sta definitivamente tramontando la vicenda di Italia Futura, alla quale come si diceva lo stesso Scannavini aveva partecipato pur senza titoli ufficiali ma non senza passione, e il cui coordinatore era appunto Calenda, con il quale però aveva anche lavorato insieme sempre ai tempi della Ferrari e di Montezemolo, che ora l’ha voluto fortissimamente all’Ice. E con il quale lavorerà ancora una volta in tandem.
Repubblica