Marchionne, soluzione 10% per Exor il piano per prepararsi alle nozze

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Le tappe del circolo virtuoso previsto dal manager per i conti di Fca vedono l’azzeramento del debito al 2017 e una posizione finanziaria positiva per 5 miliardi un anno dopo l’effetto sulle azioni in vista di una possibile fusione

Marchionne Fiat FcaÈ scattata la fase due, quella decisiva per il futuro di Fca. La fase in cui, come dice Sergio Marchionne, “il forno comincia a funzionare”. E’ stato complicato accenderlo in questi anni: prima mancava la legna, la liquidità necessaria per gli investimenti, poi si temeva che quella legna fosse bagnata dagli effetti della crisi e che fosse difficile far scoccare la scintilla per accendere il fuoco. Ora le condizioni sembrano ideali: la ripresa del mercato garantisce una buona accoglienza ai nuovi modelli. I bassi tassi di interesse consentono provviste di denaro a prezzi stracciati. Gli ingegneri che hanno lavorato per anni nei capannoni della campagna vercellese hanno ormai definito le piattaforme e preparato i nuovi modelli. Non resta che dare fuoco ai ceppi e aprire la panetteria.
C’è un indicatore che fa capire meglio di altri la fine dell’attesa: è l’indebitamento industriale netto. Grandezza che misura i debiti reali al netto dell’effetto distorsivo dei finanziamenti all’acquisto delle auto. Quella grandezza è salita di un miliardo nel periodo 2012-2014 ed è scesa di un miliardo e mezzo nel 2015 fermandosi alla soglia dei 5 miliardi. Effetto certamente dello spin off Ferrari che con la quotazione del primo 10 per cento di azioni del Cavallino a ottobre e con il listing successivo del restante 80 per cento a gennaio a Piazzaffari ha portato nelle casse di Fca circa un miliardo di euro. Ma il miglioramento dell’indebitamento industriale netto non è solo legato alla Rossa. Bisogna infatti considerare che negli ultimi due anni il piano industriale del gruppo ha comportato soprattutto investimenti in vista di guadagni futuri grazie alla vendita dei nuovi modelli.
Ora la fase degli investimenti più forti senza rientro di capitale sembra conclusa. E dalle prossime settimane con l’arrivo di Alfa Giulia e Maserati Levante nei saloni dei concessionari, gli investimenti recenti dovrebbero dare i loro frutti. Tanto che nella guidance del 2016 Marchionne ha previsto di scendere sotto i 5 miliardi di indebitamento industriale netto per azzerarlo poi nel 2017 e addirittura arrivare a fine 2018 con una posizione finanziaria netta industriale positiva per 4-5 miliardi di euro. Questo significa che Fca immagina di generare nei prossimi tre anni una cassa di 10 miliardi di euro. Un’inversione di rotta ancora oggi difficile da credere. Chris Bryant, commentatore di Bloomberg, considera un indebitamento netto industriale di 5 miliardi ancora troppo alto, soprattutto dopo gli effetti dell’Ipo Ferrari e osserva che di 5 miliardi è anche l’onere a carico dell’azienda per le prestazioni sanitarie e previdenziali dei dipendenti di Chrysler.
Eppure l’inversione di rotta è possibile perché, come dice Marchionne “il forno è difficile da far partire ma quando si accende poi genera utili”. Di questo l’amministratore delegato del Lingotto è sempre stato convinto fin dal giorno dell’annuncio del suo piano, nel maggio del 2014: “Per finanziare gli investimenti necessari non cederemo asset ma ci affideremo alla generazione di cassa consentita dallo stesso piano”. La crescita prevista dal piano al 2018 è geometrica. Nel senso che nel progetto il titolo, sempre più alleggerito dal debito, acquista valore e migliora il rating riducendo gli interessi e alleggerendo ulteriormente il debito, in un circolo virtuoso che è il sogno di ogni amministratore delegato. Al punto che i 5 miliardi di cassa positiva generati dal sistema si creerebbero nell’ultimo anno mentre per abbattere i 5 miliardi di indebitamento industriale netto di oggi, di anni ce ne vogliono due.
La rapidità della crescita è anche legata, nella strategia di Marchionne, all’aumento dei margini. Il piano presentato nel 2014 prevedeva di vendere 7 milioni di auto nel 2018. Ma a gennaio di quest’anno l’obiettivo dei volumi di vendita è stato spostato al 2020. Eppure rimangono sostanzialmente invariati gli obiettivi finanziari al 2018, segno che si è alzato il margine medio sulle auto vendute. C’è da attendersi dunque una politica più spinta sui modelli premium. Anche perché, visto l’andamento delle vendite negli ultimi anni, era difficile immaginare che dopo quattro esercizi che hanno fatto registrare un aumento medio del 10 per cento delle immatricolazioni, in due anni si verificasse un’impennata superiore al 50 per cento. Per quanto successo si possa augurare alle nuove Alfa, sarebbe stato comunque un obiettivo non realistico.
Il fatto che rimanga invariato il pacchetto di obiettivi finanziari al 2018 dice invece che probabilmente a quella data c’è una scadenza non dichiarata ma in qualche modo obbligata. Diversi segnali lo lasciano intendere. “In questi due anni dovrò lavorare a tenere pulita la cucina”, dice Marchionne proseguendo nella serie delle metafore culinarie. Anche questo è previsto nella fase due. L’azzeramento dei debiti, anzi l’accumulo di una posizione industriale netta positiva, si spiega solo con la necessità di arrivare preparati al momento in cui gli avvocati si siederanno intorno a un tavolo per pesare il valore di Fca alla vigilia di un possibile merger. Che quell’alleanza si faccia con General Motors o con un altro dei big delle quattro ruorte poco importa. Ma è evidente che se il debito industriale sarà azzerato, e anzi se la posizione sarà positiva, allora il titolo Fca che oggi vale intorno ai 7 euro, potrà superare ampiamente i 10. Per questa ragione già venerdì gli analisti di banca Akros avevano migliorato il rating sul gruppo di Torino portandolo da “accumulate ” a “buy” sulla previsione di migliori margini grazie a un migliore mix di vendite. Oggi il titolo Fca capitalizza 9,5 miliardi di euro ma con una previsione di capitalizzazione intorno ai 14 miliardi, Exor, che possiede un terzo della casa automobilistica, potrebbe portare nel merger un valore di 4,5 miliardi di euro. Nel caso di Gm, che vale oggi 50 miliardi di dollari, la partecipazione della finanziaria degli Agnelli nella società post fusione peserebbe intorno al 10 per cento, probabilmente il socio più grande nell’arcipelago degli azionisti del gigante di Detroit. Se anche il matrimonio non sarà con Gm, è chiaro che a quei valori di Fca la fusione con qualsisi altro dei grandi produttori consentirebbe agli Agnelli di avere un ruolo rilevante tra gli azionisti.
Prima di sedersi intorno al tavolo di un possibile merger, gli avvocati di Torino dovranno soddisfare anche una seconda condizione non scritta ma chiesta dagli analisti: la purificazione del titolo da partecipazioni non automotive. E’ il caso di quelle editoriali che Fca sta lasciando: il 5 maggio metterà sul mercato le azioni Rcs mentre nel 2017 passerà a Exor la partecipazione editoriale nella Stampa in vista della fusione con l’Espresso.
Se il merger è la strategia di medio periodo, è evidente che il suo raggiungimento passa innanzitutto dal successo dei modelli che verranno messi sul mercato nei prossimi mesi. Saranno le vendite di quelle auto a generare la cassa che abbatte il debito industriale e fa girare il forno di cui parla spesso Marchionne. Per questa ragione la fase due iniziata in queste settimane è quella decisiva. Perché se le vendite fossero inferiori alle attese e il forno non si accendesse, verrebbero vanificati gli sforzi di tre anni di investimenti e si allontanerebbe la prospettiva di un merger con un grande produttore. La prima verifica sarà domani pomeriggio quando il Lingotto renderà noti i dati del primo trimestre 2016, il primo di Fca senza Ferrari.
Le attese degli analisti sono molto alte e si attendono numeri in linea con le ambizioni del piano industriale nonostante le difficoltà di mercato in America Latina e il progressivo ridursi della spinta propulsiva del Nordamerica. L’area Nafta continuerà comunque ad essere di gran lunga il luogo in cui Fca crea i maggiori profitti, seguita però a ruota da un’Europa in ripresa. Quanto all’indebitamente industriale netto ci si attende nel trimestre una crescita a 6 miliardi legata alla stagionalità degli investimenti. Per questo indice il vero confronto non potrà che essere a fine anno. Solo al 31 dicembre sapremo se il piano è andato in porto.

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