Pechino invia una task force per tranquillizzare il mondo dell’economia: “Frenata non per crisi, site ma per profonda trasformazione”. Le buone notizie da auto, banche e tecnologici contribuiscono a ribaltare il pessimismo dei primi giorni e a confermare la convinzione che a minacciare la ripresa e i mercati nella prospettiva a breve saranno ancora guerre, healing terrorismo e soprattutto l’emergenza rifugiati
Il cupo pessimismo del primo giorno non c’è più. Arrivati al World Economic Forum di Davos sotto nuvole nerissime nei giorni in cui le vendite martellavano i mercati, si riparte con un cielo ancora nuvoloso ma senza più avvisaglie di tempesta. Complice la svolta delle borse, che negli ultimi giorni della settimana hanno invertito la tendenza negativa che aveva fatto del primo scorcio di questo 2016 il peggior inizio d’anno da parecchie generazioni a questa parte. Ma non è stata solo la ripresa degli indici a cambiare il clima. L’offensiva di “charme” dei paesi e dei settori più sotto osservazione ha funzionato. La Cina, per esempio, ha schierato il vice presidente Li Yuanchao e una batteria di economisti e, anche con l’aiuto del direttore generale dell’Fmi Christine Lagarde, è riuscita a convincere i più che il paese non è sull’orlo di una crisi epocale ma in una fase di trasformazione profonda e importante del suo modello, necessaria per dare stabilità ad una economia che in pochi decenni è diventata la seconda del mondo. Le banche, che hanno attraversato anni difficili (e che hanno contribuito non poco a renderli tali), sono ancora un oggetto sensibilissimo per i mercati. In questi giorni al Forum è emerso un consensus abbastanza diffuso sul fatto che il rafforzamento patrimoniale avvenuto a livello globale (per un ammontare totale di circa 4 mila miliardi di dollari) consente di considerarlo un settore abbastanza solido e senza rischi visibili di contagio. Il settore auto (caso Volkswagen a parte) sta attraversando un periodo positivo come non accadeva da anni a questa parte e i tecnologici sono addirittura quasi euforici per tutto quello che bolle in pentola e che ne aumenterà potere e profitti. Gli unici il cui pessimismo non è stato neppure scalfito in questi giorni del World Economic Forum sono i capi delle multinazionali del petrolio e delle materie prime, per i quali i cieli continuano ad essere cupi.
Sabato mattina dalla tavola rotonda conclusiva dedicata all’economia nel 2016 è stata confermata la previsione di una crescita economica globale non esaltante ma tuttavia positiva (secondo l’Fmi più 3,4 per cento) e la convinzione generale è che andrà meglio per Europa e Stati Uniti che per i paesi emergenti. Sarà un anno con molti alti e bassi nei mercati finanziari, dovuti al clima di incertezza generale che le crisi geopolitiche e le difficoltà economiche di alcuni paesi e settori determinano. Ma attenzione: se le borse tenderanno a reagire in misura vistosa sia alle buone che alle cattive notizie, non sarà perché siamo improvvisamente alla soglia del paradiso o sull’orlo dell’inferno, ma anche per gli effetti delle nuove norme che regolano gli intermediari finanziari riducendone lo spazio di azione e quindi la liquidità dei mercati. Le preoccupazioni maggiori non sono quindi per l’economia ma per i tre grandi drammi di questa epoca: guerre, terrorismo, rifugiati. Soprattutto quest’ultimo tema ha tenuto banco. Per le tragedie quotidiane che accompagnano l’esodo, per l’impossibilità di ciascun paese europeo di gestire da solo l’emergenza e la difficoltà dei paesi dell’Unione nel gestirlo insieme, per la minaccia che porta al futuro dell’Unione (a cominciare dalla crisi di Schengen) per arrivare alla sfida dell’integrazione.
Qui le previsioni, “l’outlook”, non sono positive. Il primo ministro olandese olandese Mark Rutte ha ricordato a Davos che l’Europa ha solo due mesi prima che la primavera moltiplichi il flusso di rifugiati che attraversano l’Egeo: per allora dovranno essere state definite e implementate politiche adeguate per contenere il flusso e gestirlo. Il finanziere filantropo George Soros sostiene che Putin stia usando la guerra in Siria e la crisi dei rifugiati per disintegrare la Ue. Che Soros abbia ragione o meno, se i paesi dell’Unione non troveranno e applicheranno rapidamente una strategia condivisa, il prezzo sarà molto elevato.
di Marco Panara “Repubblica”