L’amministratore delegato: «Tre in corsa per i crediti in sofferenza»
MILANO Fabrizio Viola ha cambiato look, hospital da qualche tempo il 57enne banchiere sfoggia una folta barba sale-e-pepe che gli rende il volto più sereno. Di sicuro lo rendono più sereno i risultati che la banca di cui dal gennaio 2012 è amministratore delegato, il Montepaschi, è riuscita tra mille difficoltà a raggiungere. In particolare il patrimonio, passato tra il 2012 e il 2015 dal 9% al 12%, senza aiuti di Stato. E l’agenzia del rating etico gli ha riconosciuto il primato nella parità di genere, unica azienda quotata con il 50% di donne in consiglio
«La banca va meglio, ed il risultato degli «Srep» (l’ultimo testBce, ndr ) è un passaggio importante e positivo, specialmente se consideriamo che è avvenuto a un anno dal comprehensive assessment (la valutazione degli attivi, ndr ) che ha reso necessario l’aumento da 3 miliardi. Ma l’attuale situazione è figlia anche del rafforzamento che la banca ha realizzato con le sue risorse, tra cui oltre 600 milioni dalle transazioni con Deutsche Bank e Nomura. Oggi i risultati sono sotto gli occhi di tutti: rimborso degli aiuti di Stato, il restatement del bilancio 2012 mettendo mano ai problemi della vecchia gestione, il miglioramento dell’efficienza operativa, che è fondamentale: +30% il risultato operativo a settembre. Il taglio dei costi è stato massiccio, oltre 800 milioni. E la copertura dei crediti dubbi salita dal 41% al 49%».
Si parla tanto di bad bank ma la Ue non dà l’ok. Si sta perdendo tempo?
«Non sono mai facili i passaggi con la Ue. Ci sono 340 miliardi di crediti dubbi, conseguenza della recessione, una delle più lunghe in Europa. Ma a differenza delle banche europee, quelle italiane non hanno beneficiato di aiuti di Stato. Parliamo di 800 miliardi pagati da tutti, anche dal governo italiano, e restituiti per meno delle metà. Quello che serve è creare un mercato efficiente delle sofferenze, in cui il prezzo non sia dettato dalla forza dei compratori, in prevalenza operatori stranieri che cercano rendimenti molto alti, oltre il 15%».
Vi sentite strozzati?
«Strozzati magari no ma sentiamo l’esigenza di un riequilibrio dei prezzi, e da qui il giudizio favorevole verso i tentativi del governo per avere un mercato più equilibrato ed efficiente delle sofferenze. Anche le riforme aiutano. Il nuovo meccanismo della legislazione fallimentare è positivo ma gli effetti si vedranno in qualche anno».
Ma le banche possono aspettare?
«È dirimente quello che succede all’economia. È importante che la ripresa si rafforzi con riforme che rendano il Paese è più appetibile per gli investitori domestici e internazionali. L’Italia deve essere una grande fabbrica di prodotti da vendere in giro per il mondo. Non vedo alternative a questo modello. Sarebbe limitativo pensare che l’economia si riprende solo con moda e turismo. Siamo tra i Paesi con il contributo più alto alla manifattura. In settori apparentemente maturi come l’acciaio, ci sono eccellenze a livello mondiale: basta fare un giro in provincia, in Emilia, in Lombardia e nel nord est».
E l’annunciata cessione di 1 miliardo di sofferenze entro l’anno?
«Si dovrebbe concludere a breve, abbiamo ricevuto offerte da parte di tre operatori internazionali».
Come sta andando la vostra banca online, Widiba?
«Ha già 140 mila clienti, con quasi 7 miliardi di masse e una soddisfazione molto elevata da parte dei clienti, la conferma che la scelta è stata giusta».
Cosa manca ancora a Mps?
«Dobbiamo rendere sostenibile la ripresa della redditività. Dobbiamo lavorare sui ricavi ma i tassi a zero limitano molto, e quindi ridurre ulteriormente la base dei costi complessivi per essere ancora più efficienti è una strada obbligata. Serviranno sacrifici. Abbiamo un impegno con la Commissione europea a raggiungere livelli determinati di redditività altrimenti bisogna fare ulteriori tagli di costi».
Lei parla come se la banca dovesse restare da sola. Ma la Bce vi ha imposto un’aggregazione…
«Fin dall’ottobre 2013 abbiamo chiesto al nostro advisor di trovare soluzioni strategiche, compresa un’aggregazione. L’essere concentrati su una strategia stand alone non è in contraddizione con l’opzione di fusione che vuole la Bce. Migliorare i fondamentali potrà aumentare le possibilità di arrivare ad una aggregazione. Perché bisogna ricominciare a remunerare il capitale. Oggi sono gli azionisti quelli più colpiti».
A lei che ci è già passato che effetto fa vedere ancora banche in crisi e risparmio in fumo?
«La direttiva Ue sul bail-in sta cambiando le regole. E nelle fasi di transizione ci sono i problemi. I bond subordinati sono il vero tema, oggi. Credo che questa categoria di strumenti sempre più sarà destinata a investitori istituzionali, non al retail. Circa i bond senior (quelli più garantiti, ndr ), se la banca ha una dotazione patrimoniale adeguata non mi sento di dire che il rischio sia eccessivo. Certo è che andrà rivista sia la politica di emissione da parte delle banche sia l’approccio all’investimento da parte dei risparmiatori. Da qui la nostra attenzione a migliorare anche la qualità del capitale».
Quanto avete versato al Fondo di risoluzione? Impatterà sui conti dell’anno?
«Noi avevamo accantonato già 100 milioni, ne versiamo 240, quindi speseremo 140 milioni nella trimestrale. Sull’impatto a fine anno, vedremo…».
di Fabrizio Massaro e Nicola Saldutti Corriere della sera