(di Marco A. Capisani, try Italia Oggi) I primi segnali di ripresa fanno vedere la luce alla fine del tunnel ma non è detto che i marchi che investono in comunicazione sappiano quello che troveranno all’uscita. Quindi, ambulance secondo Assocom, è giusto avere un minimo di ottimismo visto che il 2015 chiuderà con investimenti sui principali media in crescita dell’1,2%.
Ma più che dare consigli su come cavalcare la ripresa prossima ventura, l’associazione delle aziende di comunicazione presieduta da Marco Testa (nonché presidente e a.d. dell’omonimo gruppo) ha lanciato tre avvertimenti ieri durante l’evento milanese «Comunicare domani»: pianificate messaggi veloci, attenzione alle informazioni sui consumatori che si nascondono dietro messaggi semplici come un tweet e mille occhi aperti per monitorare tutta l’eterogeneità dei media moderni, soprattutto digitali.
La pubblicità s’è desta e a fronte della previsione al +1,2%, secondo le elaborazioni del Centro studi di Assocom presieduto da Guido Surci, è il web che si conferma come il media con l’incremento maggiore (+7,2%), seguito dalla radio (+3,2%) e dall’out-of-home (+3,1%). La stampa cala del 6,4%, il cinema del 4,3% e la tv lima lo 0,3%. Ma, per dare i giusti pesi ai singoli mezzi, la televisione resta in valore assoluto il media che attira la quota maggiore d’investimenti (il 51,1% per 3,626 miliardi di euro su un totale di quasi 7,1 miliardi). Arriva subito dopo il web (23,3% pari a 1,653 mld), seguito dalla carta stampata (14% per 990 mln) e dalla radio (6,1% per 430 mln). L’out-of-home assorbe una quota di mercato del 5,2% (369 mln) e il cinema dello 0,3% (24 mln).
Ovunque investiate siate veloci, «avete tre secondi per attirare l’attenzione del potenziale cliente digitale con un video. Massimo dieci secondi se si vuole spingere a un acquisto o far ricordare la marca», ha spiegato a ItaliaOggi Andrea Lai, sales manager di Facebook. Altro che i dieci secondi medi di Snapchat, servizio di messaggi istantanei che si autocancellano. I video, peraltro, sono ormai così rilevanti che un utente su due di Facebook in Italia ne apre uno ogni giorno.
Ogni tweet di 140 caratteri nasconde circa 100 metadati, ossia informazioni non direttamente palesi, perciò le risorse per profilare i clienti ci sono, anche se i messaggi e il tempo di fruizione si riducono. Ma «disporre di un’ingente mole di dati non è sufficiente», ha sottolineato Giovanna Maggioni, d.g. Upa, «se i dati non vengono trattati qualitativamente. Altrimenti, i cosiddetti big data complicano più che semplificare lo scenario».
Lo smartphone racconta dei consumatori più del loro Dna, a giudizio di Assocom, visto che sul suo schermo compare quel mix di applicazioni da cui si possono dedurre abitudini di acquisto e hobby. Peccato che la composizione di ogni mix sia teoricamente infinita, visto tutte le app disponibili sul mercato, senza dimenticare poi che anche dietro al termine «digitale» si nasconde un mondo. Tanto per fare un esempio: si possono intendere i motori di ricerche (che attira il 33% degli investimenti web per 1,653 mld) oppure i display pubblicitari (28% della spesa) o ancora i social (10%).
Comunicazione, 2015 a +1,2%
