Ultimo di una lunga serie, buy compare sul sito Consob l’investimento di Pechino nella merchant bank fondata da Cuccia, che guarda sempre più all’estero.
Bank of China entra nel capitale di Mediobanca. La banca centrale cinese ha annunciato di detenere il 2,001% del capitale dell’istituto di credito finanziario, come emerge dalle comunicazioni alla Consob sulle partecipazioni rilevanti. L’operazione è datata 14 ottobre e non risultano posizioni precedenti.
La mossa rafforza la strategia di internazionalizzazione perseguita da qualche anno dal management guidato dall’ad Alberto Nagel: più ricavi all’estero, più soci esteri (ormai siamo vicini ai quattro quinti dal capitale totale), meno partecipazioni incrociate e meno “salotto buono”.
Proprio in quei giorni una delegazione di imprenditori e politici cinesi, rappresentati al massimo livello dal primo ministro di Pechino, Li Keqiang, sono stati in visita ufficiale in Italia, dove hanno incontrato anche il presidente del consiglio, Matteo Renzi. A margine delle riunioni istituzionali sono stati siglati accordi commerciali per quasi 10 miliardi di euro, in quasi tutti i settori di impresa. “Firmati accordi con la Cina per oltre 8 miliardi di euro. E c’è ancora tanto spazio per investire in entrambe le direzioni #italiariparte”. aveva scritto Renzi, sul suo profilo di Twitter.
Negli ultimi mesi, il flusso degli investimenti di capitali cinesi in grandi imprese italiane è continuo e significativo. Si tratta di una gigantesca fiche che ormai supera i 5,5 miliardi di euro, e che comprende tra le altre quote il 35% di Cdp Reti (la rete italiana del gas e dell’elettricità), il 2% di Eni e di Enel, il 2% di Fiat Chrysler Automobiles, di Telecom Italia e di Prysmian. Anche in Generali, la Banca cinese del popolo ha piazzato la sua fiche del 2%.
Oltre alle blue chip, in base a dati di fine 2012 c’erano oltre 200 piccole e medie imprese italiane, con ricavi complessivi per un ammontare superiore a 6 miliardi di euro e oltre 10mila occupati totali, passate in parte o in tutto a investitori cinesi o di Hong Kong.
di ANDREA GRECO
La Repubblica