Musei, ecco il piano per aprire il mercato con i privati la torta arriva a 2,5 miliardi

Dario Franceschini
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Dario FranceschiniPIÙ GARE, medical BENCHMARK, NUOVI SERVIZI, MARKETING E ORARI FLESSIBILI. COSÌ LA GESTIONE DEI SITI MUSEALI PUÒ RAGGIUNGERE STANDARD EUROPEI E ATTRARRE INVESTIMENTI E OPERATORI. IL PROGETTO È DI CONSIP MA FRANCESCHINI NON È DEL TUTTO CONVINTO

Il Paese con il maggior numero di siti Unesco al mondo cerca di darsi una svolta: su 450 musei statali solo in 190 ci sono servizi aggiuntivi aperti ai privati e incassano 380 milioni di euro. Ma gestendo in modo più efficiente bandi e gare le entrate potrebbero arrivare a superare i 2 miliardi, ma soprattutto si aprirebbe un settore economico in grado di produrre servizi e innovazioni tecnologiche, di attrarre investitori, di far crescere aziende, seek che oggi sono poche, piccole, ferme a quindici anni fa perché di gare se ne sono fatte pochissime. Con qualche isolata eccezione. Ma il ministero nicchia e Franceschini cerca di far tornare in partita le società pubbliche. Potrebbero crescere dagli attuali 380 milioni a 2 miliardi e oltre gli incassi nei nostri musei, nelle aree archeologiche e nei siti monumentali. Cifre reali o cifre da sogno? Un futuro fondato su calcoli e simulazioni concrete o vaghe, generose aspirazioni? Consip, la società del ministero per l’Economia che supporta le amministrazioni pubbliche per l’acquisto di beni e servizi, ha messo a punto un piano che intende rivedere l’intero sistema delle gare per i cosiddetti servizi aggiuntivi – dai bar ai bookshop, dai ristoranti agli ausili didattici, dai guardaroba all’allestimento di mostre – che la legge Ronchey (1992) affida ai privati. Dalla rivoluzione del settore si conta, o si spera, che frotte di visitatori sciamino per i luoghi d’arte e che una pioggia di quattrini affluisca nelle mortificate casse dei Beni culturali, strapazzate da anni di tagli draconiani: era di 2 miliardi il bilancio del 2008, sceso a 1 e mezzo nel 2013, vale a dire dallo 0,28 allo 0,20 dell’intero bilancio dello Stato. Un’intesa con il ministero per i Beni culturali è già avviata, anche se non definita nei dettagli. Ma non sono dettagli da poco: al Collegio Romano, sede degli uffici retti da Dario Franceschini, vorrebbero che il settore – accusato di essere asfittico, bersagliato dalla Corte dei Conti, con concessioni in proroga da anni, tantissime gare annullate – venisse rovesciato come un calzino. Però sul modello proposto da Consip, che consiste nell’affidare a un’unica figura servizi divisi fra diversi gestori, le perplessità non mancano. Per le mostre o per i laboratori didattici, per esempio, non si può ragionare come sulla pulizia o le prenotazioni online: qui non conta solo la massima convenienza, si sente dire al ministero. Dove si sta lavorando perché alle gare possano partecipare anche soggetti pubblici (potrebbe essere Ales, società del ministero, a occuparsi di questa partita). Franceschini sfoggia diplomazia: «Stiamo discutendo su come uscire da un sistema assurdo e adottarne un altro di massima trasparenza, economicità e con maggiori introiti per lo Stato», dice il ministro, «ma non dimentichiamo che alcune attribuzioni rientrano nelle competenze tecnico- scientifiche del direttore di un museo o di un sito archeologico ». La partita è grossa e delicata insieme. E investe, scostato appena il velo dai servizi aggiuntivi, l’antica questione di come valorizzare i beni culturali, se al fine di acquisire maggiori conoscenze o se per produrre reddito e occupazione. O anche per entrambi gli obiettivi. Inoltre, si sente dire fra chi lavora nella tutela, «non vorremmo arrivare a un sistema in cui ai tagli crescenti da parte dello Stato i beni culturali debbano far fronte procurandosi i soldi da sé». Difese corporative o anche la preoccupazione per la salute di un patrimonio dissestato, fatto non solo di musei e che richiede un incremento e non un allentamento della tutela? Consip prevede di stipulare un accordo quadro con uno o più operatori vincitori di una gara. L’accordo fissa condizioni di base che troveranno articolazione in successivi appalti. In questo modo, stando alle intenzioni, le soprintendenze, che negli anni hanno perso tantissimo personale e quello rimasto è sempre più avanti in età, dovrebbero essere esonerate dall’onere di complicate procedure di gara. Come si faccia ad arrivare dagli attuali 380 milioni a oltre 2 miliardi è frutto di studi che Consip non rende noti: da raffronti internazionali e dall’esame delle situazioni più critiche, Consip ricava che mettendo in rete strutture museali, migliorando la loro conoscenza, la relazione con il territorio e l’accoglienza possono crescere visitatori, biglietti e ricavi dei gestori. I servizi aggiuntivi sono il luogo dove dialogano pubblico e privato, tutela e valorizzazione. È una torta piccola, distribuita in tante, minuscole fette che ogni tanto si raggrumano in appetitosi bocconi. Nei siti d’arte di proprietà dello Stato (431 su oltre 4500 censiti in Italia, 38 milioni di visitatori nel 2013, con incassi di 126 milioni) fatturano 46 milioni, attirando 9 milioni di clienti. Solo il 29 per cento dei musei statali e il 24 di quelli non statali (dei Comuni o di altri enti territoriali), però, hanno servizi aggiuntivi. Stando a una ricerca di Intesa San Paolo del 2011, il Metropolitan di New York incassa da bookshop, merchandising e ristoranti 72 milioni. Paragoni si possono sempre fare, come quello, ossessivamente ripetuto, del Louvre che conta cinque volte i visitatori degli Uffizi, senza considerare che è molto, ma molto più grande del museo fiorentino e che il patrimonio italiano è tanto più distribuito di quello francese. Ma pur presi con le pinze, i paragoni segnalano la minorità di un settore e le sue potenzialità di espansione. Oltre che d’innovazione: perché non è detto, fanno notare molti operatori, che ci si debba limitare alla caffetteria. A Santa Maria Capua Vetere, per esempio, l’area archeologica con un anfiteatro romano di grande pregio è gestita dal consorzio Arte’m net, che ha vinto una gara fra mille ostilità. Fautrice dell’iniziativa la soprintendente Adele Campanelli. Arte’m cura la biglietteria, il bookshop e anche l’animazione per bambini e un ristorante con prodotti biologici provenienti da quello stesso difficile territorio casertano, affidato a Gennaro Esposito, chef stellato di Vico Equense. Erano 27 mila i visitatori nel 2012, nei primi sei mesi del 2014 sono diventati 42 mila. Ma un problema sovrasta gli altri. Stando alle elaborazioni del ministero per i Beni culturali, di quei 46 milioni incassati con i servizi aggiuntivi, solo poco più di 6 sono entrati nelle casse dello Stato. Il resto, meno del 90 per cento, è andato ai gestori privati. Questo è il dato nazionale, caso per caso il rapporto può cambiare. Ma in molti sottolineano la scarsa redditività di simili operazioni per le dissanguate finanze del ministero. Di fatto la pinacoteca o il museo etrusco possono essere usati come scenario per attività commerciali, non particolarmente lucrose, ma comunque influenti sulla percezione di un sito d’arte. Il piano messo a punto da Consip, oltre a prevedere maggiori entrate, propone di ribaltare la proporzione fissando, grosso modo, nel 90 per cento l’introito pubblico e nel 10 quello privato. E questo, spiega l’amministratore delegato Domenico Casalino, in una prospettiva di allargamento del mercato e di visitatori che aumentano, prospettiva che attrae gli operatori privati con i quali sono in corso contatti. «L’obiettivo del progetto – spiega Casalino – è di valorizzare soprattutto il patrimonio culturale “minore” del nostro Paese». Pompei e il Colosseo, con 2 milioni e 300 mila e oltre 5 milioni di visitatori, 19 e 30 milioni di incasso, rispettivamente, non riescono a incrementare più di tanto i biglietti staccati, ma forse, aggiungono a Consip, possono farlo le necropoli e i musei etruschi dell’Alto Lazio. Un’altra ipotesi prevede che chi si assicura i servizi aggiuntivi di un sito con molti visitatori, possa riversare gli utili su un altro sito meno vantaggioso, ma non meno prezioso. La discussione procede mentre il piano tariffario di Franceschini (niente biglietti gratuiti per gli over 65, apertura fino alle 22 il venerdì, ingresso libero la prima domenica del mese) comincia a dare frutti: in tre mesi i visitatori sono cresciuti da 9 milioni e 300 mila a 10 milioni, con un aumento degli incassi di circa 3,5 milioni. Ma resta da chiarire come i cambiamenti nei servizi aggiuntivi si sposino con la riforma del ministero che, faticosamente, muove i primi passi e che accresce l’autonomia per 18 fra grandi musei e siti archeologici.

di Francesco Erbani e Stefano Carli

Affari e Finanza