Tfr volontario in busta, doppio stipendio a febbraio: il piano per convincere le imprese

tfr-renziL’operazione avrebbe un impatto neutro sulle aziende grazie all’intervento delle banche. Introiti per lo Stato tra 1, troche 7 e 5,6 miliardi. DOPPIO stipendio a febbraio. Per i lavoratori che lo chiederanno, potrà essere questo l’effetto dell’”operazione anticipo Tfr”. Nonostante l’opposizione delle imprese, il governo ha deciso di provarci. Il progetto non è stato affatto abbandonato. A Palazzo Chigi i tecnici ci stanno lavorando. C’è già una bozza di proposta di otto cartelle. “Mi piacerebbe che dal prossimo anno i soldi del Tfr andassero subito in busta paga”, ha detto ieri il presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Fine di quello che il premier ha definito lo “Stato mamma” che decide per i lavoratori, considerati incapaci a gestire le proprie risorse finanziarie. Il Tfr (il trattamento di fine rapporto, detto anche liquidazione), pari più o meno a uno stipendio all’anno, non c’è in nessun altro Paese ed è figlio anche di una concezione paternalistica dell’imprenditore o dello Stato, quando è datore di lavoro. È un flusso annuo pari a circa 27 miliardi di euro che serve all’autofinanziamento delle piccole imprese oppure ad alimentare i fondi pensionistici integrativi dei lavoratori dipendenti. Un’enorme quantità di risorse non sempre utilizzata al meglio che potrebbe dare un impulso – nell’impostazione del governo – ai consumi.  “Effetti positivi vi sarebbero – si legge nella bozza dei tecnici del governo – su redditi, consumi e finanza pubblica”. Renzi pensa di doppiare l’operazione 80 euro, ma le differenze sono notevoli: gli 80 euro sono frutto di uno sgravio fiscale per i redditi più bassi, il Tfr non è altro che salario differito dei lavoratori.
Renzi ha deciso di parlarne direttamente con i sindacati e con la Confindustria nella Sala Verde di Palazzo Chigi. Per le casse dello Stato di prospettano nuove entrare: da un minimo di 1,7 miliardi a un massimo di 5,6 miliardi nel caso aderissero tutti i lavoratori. Risorse che  otrebbero essere dirottate per ridurre il costo del lavoro per le piccole imprese, così da incentivare gli investimenti e l’occupazione. Resterebbe infatti la tassazione separata prevista per il Tfr. E per i lavoratori, con l’aumento del reddito, non ci sarebbe alcun passaggio all’aliquota Irpef superiore. Per le imprese, che di fatto godono di un prestito da parte dei lavoratori, l’operazione sarà neutra con un meccanismo di anticipazione e traslazione del credito maturato dai lavoratori dalle imprese alle banche.
La volontarietà. Il perno della proposta è la volontarietà. Ciascun lavoratore (del settore privato o di quello pubblico) deciderà se ricevere l’anticipo del Tfr maturato nell’anno precedente Potrà anche scegliere se trasferire in un’unica tranche, a febbraio appunto, nella busta paga tutto l’ammontare maturato nell’anno precedente, oppure distribuirlo lungo l’arco dei dodici mesi. Per ora resteranno fuori dall’operazione i lavoratori che hanno già deciso di destinare il proprio Tfr a un fondo pensionistico complementare. A meno che tale opzione non sia già prevista dal contratto collettivo di categoria che ha istituito il fondo.
Le imprese. Per le aziende non dovrebbe cambiare sostanzialmente nulla. E questo aspetto smonta l’opposizione delle associazioni delle imprese, dalla Confindustria ai rappresentanti di commercianti e artigiani. Perché nel meccanismo suggerito dai tecnici, l’erogazione verrebbe finanziata da un apposito “Fondo anticipo Tfr” (Fatfr) costituito dalle banche e dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp), oppure solo dalle banche previo accordo con l’Abi, l’Associazione degli istituti di credito. Dunque le aziende – si legge nella nota – “continuano ad operare come oggi senza alcuna modifica né nei loro costi né nell’esborso finanziario, versando (come prevede l’attuale normativa) il Tfr all’Inps (le imprese con più di 50 addetti), o versandolo ad un fondo integrativo, o seguitandolo ad accantonare in bilancio (imprese con meno di 50 addetti)”.
Le banche. Centrale il ruolo delle banche. I tecnici hanno ipotizzato due vie: la costituzione di un Fondo ad hoc, come abbiamo visto, con la partecipazione degli istituti e della Cdp; oppure un accordo con le banche in base al quale ilprestito sia erogato dagli istituti di credito, garantiti della Cdp, a sua volta garantita dal Fondi di garanzia presso l’Inps. Il Fondo, tra l’altro, potrebbe “approvvigionarsi sul mercato finanziario e attingere direttamente alle risorse della Banca centrale europea (Bce)”.

di ROBERTO MANIA
Fonte: La Repubblica
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