DIARI A SORPRESA/SANDRA MONTELEONI
VI RACCONTO LA MIA VITA NELLA TAGLIA 42
LA DOLOROSA PERDITA DELLE RADICI AMERICANE, A 13 ANNI. I GRANDI AMORI : LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO, GIANNI DE MICHELIS, CARLO DE BENEDETTI. IL FIGLIO MATTEO. IL TUTTO “CONDITO” DA DIETE FEROCI AI LIMITI DELLA BULIMIA MA ANCHE DA SEGRETE ABBUFFATE. UNA SIGNORA CHE CON IL CIBO HA AVUTO UN RAPPORTO PARTICOLARISSIMO SVELA IN UN LIBRO (E IN QUESTA INTERVISTA) COME SI CONVIVE CON UN’ OSSESSIONE. E COME SE N’E’ LIBERATA.
INTERVISTA DI CESARE LANZA SU “SETTE”
Sandra Monteleoni, 47 anni, americana d’origine trapiantata a Roma nell’età dell’adolescenza, era presto diventata famosa, e chiacchieratissima, negli anni settanta e ottanta: soprattutto all’interno di un mondo di elite, che l’aveva conosciuta, o aveva sentito parlare di lei, come di una ragazza splendida, incantevole, un po’ misteriosa, in possesso di sorprendenti capacità seduttive.
Oggi, da tempo, è una giornalista e regista affermata, orgogliosamente indipendente, con un matrimonio annullato e alcuni importanti amori alle spalle, e un figlio, Matteo, di 24 anni. E un inatteso segreto, che ha deciso di rivelare in un bel libro pubblicato da Passigli Editori, “Cibo e Amore”. Una dolorosa e asciutta, lucida, coraggiosa e limpida (almeno a me così è apparsa) confessione. Tanto per dare l’idea, ecco le prime righe della sua introduzione: “A sedici anni ho scoperto il vomito. Mi sembrava un’idea geniale. Avevo escogitato una tecnica, di cui andavo fiera, per espellere dal mio corpo solo gli zuccheri. Se alla fine di un pasto c’era il dolce o il gelato, ne prendevo almeno tre porzioni, tanto poi bastava bere un bicchiere d’acqua e vomitavo solamente l’ultima cosa mangiata…”
Presumo che il libro di Sandra, scritto come un diario, possa diventare una sorta di manifesto delle ansie e dei problemi psicologici di milioni di donne di oggi (lo spiega con intelligenza Barbara Palombelli, nella prefazione) obbligate a piegarsi al mito della magrezza e a costringersi a diete feroci, e a interventi chirurgici, se il peso non rispetta un preciso, inesorabile confine: mai superare la taglia 42.
– Si può dire che, come in tanti altri casi, dietro il tuo disperato rapporto con il cibo ci sia stata una profonda, nascosta, infelicità?
“E’ così. Infelicità inconsapevole: inquietudini che emergevano continuamente e di cui non mi rendevo conto.”
– E ora, a un’età in cui si possono fare bilanci, hai capito cosa ci fosse alla base di questa infelicità?
“Certamente la mancanza di radici. A 13 anni, per un trasferimento familiare, lasciai di colpo New York e venni a Roma. Zac, radici recise. Ma l’illusione, grave, fu che per molti anni pensai che dovessi cercare la ricostruzione di queste radici recise negli altri…Anziché in me stessa, nella solitudine.”
– Negli altri, chi?
“Da tutti e da nessuno. Mi aspettavo inconsciamente dagli altri quello che dovevo cercare da sola. Per di più, mi sposai giovanissima e riversai i miei problemi sul mio ex marito…”
– Chi era?
“Luca. Luca di Montezemolo.”
– Come eri arrivata al matrimonio? Cosa vedi, se ripensi a quegli anni?
“Ero certamente una persona piena di paure e di complessi.”
– Perchè?
“Forse per una mancanza di stima di me. Anche questa, inconsapevole. Poi, dopo i quarant’anni, tutto è migliorato.”
– Spiegami bene.
“Non è semplice, a vent’anni o anche a trenta, avere coscienza di sé. Per quel che mi riguarda, tutto poteva sembrare facile, tutto semplice… E, più che riflettere su me stessa, ero distratta da cose esterne.”
– Mentre invece, dopo i quaranta…?
“Ho fatto una grande scrematura di tutti i rapporti umani. Con la necessità e la
voglia di ripartire da zero. Quasi di cambiare pelle. La voglia di avere meno cose, ma di maggior qualità.”
– E, prima e dopo questa rivoluzione, stretta nel segreto del tuo rapporto nevrotico con il cibo…
“Sì, è così.”
– Il tuo libro, un diario alimentare e sentimentale, è una rivelazione: un piccolo choc per chi ti immaginava lieve e anche un po’ crudele.
“Lieve?”
– Sì. Come dire, Sandra? Eri come le bollicine di champagne. Con botti
insensibili sia verso chi ti ammirava e godeva di te, sia verso chi si beccava il tappo in faccia.
“Io penso di essere una persona assai diversa da come molti mi immaginano. E poi, a mia discolpa, il contesto: gli anni ottanta.”
– Concesso. E ora, vent’anni dopo, come definiresti in sintesi la profondità del tuo cambiamento?
“Oggi apro gli occhi e apprezzo ciò che allora neanche vedevo. Ti ripeto: allora cercavo altrove, negli altri, ciò che dovevo trovare dentro di me.”
– Si può dire che anche le tue celebri storie d’amore erano segnate da questo
problema, delegare agli altri la soluzione della tua infelicità?
“Sì.”
– Spiegami meglio.
“Insomma, era come se aspettassi che si accendesse un faro, un faro che mi
illuminasse. Mi sentivo come in un palcoscenico. Delegavo agli altri l’accensione del faro.”
– Parlami di Montezemolo.
“Luca è l’uomo a cui ho voluto più bene, la persona più importante. Abbiamo
molte affinità e abbiamo anche vissuto momenti meravigliosi. E mi ha dato uno splendido figlio, Matteo. Luca è un papà straordinario.”
– Ed è importante per te, anche oggi?
“Sì. Il matrimonio è stato breve, ma ci eravamo conosciuti quando avevo 14
anni… E’ stato il mio primo ragazzo, appena arrivata a Roma da New York. Io montavo a cavallo, lui girava con una 500 arancione, era appassionato d’auto e presto cominciò a fare le prime corse di rally…”
– Torniamo, lo dico senza ironia, alla metafora dell’illuminazione. Luca, pur nel quadro di un certo amore, non riuscì ad illuminarti. Questo meccanismo si è ripetuto, con gli altri uomini della tua vita?
“Sì. Sempre mi aspettavo che qualcuno accedesse al ruolo di risolutore dei miei problemi. Delegavo. Aspettavo il faro, la luce. Fino a quando ho capito che dovevo accendermi da sola.”
– E quando e come lo hai capito?
“Se qualcuno, come capita, diceva: “Ah, come sono felice!”, mi accorgevo che
non potevo certamente dire altrettanto di me.”
– Tormentata, dunque, e complicata. Il tuo libro è un saliscendi che mette i
brividi, un’altalena di stati d’animo, afflizioni, speranze, delusioni.
“La scoperta più importante c’è stata quando ho capito che avere un uomo è la
soluzione più facile. E spesso ingannevole. E sono diventata spietata, dura con me stessa.”
– So che non ti piace, ma desidero chiederti un bilancio delle altre tue storie
d’amore.
“Dopo Luca, gli uomini importanti sono stati solo due.”
– Gianni De Michelis…
“L’ho conosciuto in un momento in cui ero fragile, era appena morto mio padre…. Lui era appena arrivato a Roma, non era entrato nel giro dei locali notturni. E’ stato molto buono, molto paziente con me.”
– Carlo De Benedetti.
“Non vorrei parlare di lui. Ci siamo voluti molto bene. E’ una storia passata.”
– Ritorniamo allora alla tua bulimia…
“Scusami. Preferirei che tu parlassi di disturbo alimentare. Né bulimia né
anoressia: un po’ l’una e un po’ l’altra. La mia vita, col cibo, è passata di continuo da quasi nulla agli estremi di eccesso e viceversa…”
– Ciò che colpisce di più è la tua golosità di dolci e quella curiosa, segreta capacità di eliminarli…
“Mangiavo dolci per goderne e li espellevo per ridurre i problemi. Avevo 16 anni ed eravamo nel pieno del bombardamento, nei mass media, sugli obblighi di moda. Bisognava assomigliare alle modelle magrissime…E quante sofferenze! Anche oggi, mi chiedo quante ragazze siano a rischio. E le più fragili sono pronte a tutto, come se la vita per obbligo dovesse essere vissuta con un modello unico…”
– La mitica taglia 42.
“Appunto.”
– Il tuo libro, scandito (direi con una evidente intenzione auto-ironica) da ricette
e menu diversi, espone a ogni pagina l’ossessione dei chili che aumentano e calano… Adesso quanto pesi?
“Adesso sto bene. 53 chili.”
– Vorrei che tu definissi, con pochi aggettivi, la Sandra degli anni ottanta.
“Era giovane, spavalda, tormentata e senza radici.”
– E oggi?
“E’ una donna matura, consapevole della vita, del valore dell’allegria, una donna
aperta e non più diffidente verso ciò che è altro.”
– Ma, da giovane, sapevi e capivi di essere considerata una donna di straordinaria femminilità, capace di incantare e sedurre chiunque?
“No. Non ne ero consapevole affatto. Anzi mi stupivo dell’attenzione degli altri, a volte.”
– Avevi una forte personalità. Ed eri considerata inafferrabile. Se ti piaceva un uomo, te lo prendevi?
“Non era proprio così. Dovevo sentirmi ricambiata. Ho avuto sempre bisogno di molte conferme, prima di lasciarmi andare. E ho avuto sempre storie importanti.”
– Debbo dirti che, almeno secondo le chiacchiere dell’epoca, molti
stenteranno a crederti.
“E sbagliano. A meno di non attribuire importanza a brevi cotte irrilevanti.”
– Sinceramente? Mai, qualche semplice capriccio?
“Non conosco quella leggerezza.”
– La chiave dei tuoi rapporti amorosi?
“Forse l’incapacità di soffermarmi.”
– Ecco. Eri considerata una preda e allo stesso tempo una predona, una donna faticosa, una che ogni giorno dovevi ricominciare da capo per conquistarla, senza mai la sicurezza di averla, possederla. Inafferrabile…
“Non so. Di certo ero instabile.”
– … insomma quella che può far impazzire un uomo.
“Non me ne rendevo conto.”
– Insisto a chiederti: hai fatto molto soffrire?
“Stai facendo il ritratto di una iena. Io invece mi reputo buona, oggi. E rispetto il dolore degli altri.”
– Che cosa hai avuto, con certezza, in amore?
“Gli uomini che ho amato sono persone che mi vogliono bene.”
– E tu cosa hai dato?
“Questo bisognerebbe chiederlo a loro.”
– E oggi chi c’è nella tua vita?
“Io. Ci sono io.”
– Niente amore?
“No.”
– Ti manca?
“ No. Ho scoperto che il lavoro può essere una vera goduria.”
– Meglio il lavoro di un amore?
“Ho scoperto che la soddisfazione che può darmi il lavoro è maggiore rispetto
all’interesse che ho avuto per gli uomini.”
– Scusami, e l’aspetto sessuale?
“Io sono sempre stata timida, molto timida. Chiusa, in guardia.”
– E adesso?
“Il problema non esiste.”
– E il cibo?
“ L’amore per il cibo resta invariato. Quanta gioia mi dà assaporare un pezzo di
pane casereccio con una fetta di buon prosciutto crudo.”
SETTE, 13-12-01