RECORD – SETTE ANNI DA DIRETTORE DEL «TG2»
Sono Clemente, ma non con tutti
Buchi neri nei palinsesti, programmi fotocopia, potenzialità poco sfruttate. Mimun dà i voti alla Rai. Senza dimenticare Lerner e Mentana.
Intervista di Cesare Lanza su “Panorama”
Prima o poi, si dice, entrerà nel Guinness dei primati. Incredibile ma vero, Clemente J. Mimun ha concluso il suo primo settennato alla direzione del Tg2. Un record assoluto per la Rai.
Come lo spiega?
Ripensando a quanto siamo riusciti a fare, sarebbe strano il contrario.
Risposta orgogliosa. Ma un segreto ci sarà: lei è passato indenne tra avvicendamenti di governi, consigli di amministrazione, direttori generali…
Il segreto? Lavorare molto, avere un buon progetto e un ottimo team per realizzarlo.
Però in Rai bisogna essere anche grandi navigatori. Lei sa navigare?
Soffro il mal di mare. E nuoto così così.
E quanto contano i padrini politici?
In tv, se uno è capace, conquista seguito e gradimento, realizza prodotti che funzionano. Altrimenti resta al palo.
Non negherà di essere un berlusconiano doc.
Ridurre tutto alle scelte delle domeniche elettorali fa torto ai 30 anni di lavoro che mi porto sulle spalle. Gavetta, sacrifici e risultati conteranno qualcosa. Il gioco delle targhette è stucchevole.
Bilanci. Il risultato più soddisfacente?
Da molto tempo anche chi la pensa diversamente da me sa che lavoro per fare un buon tg. E che non ho alcun pregiudizio.
E una spina nel cuore?
La Rai distratta, rispetto alle tante cose buone che abbiamo fatto. Quasi che a ogni successo del Tg2 corrispondessero dei mal di fegato
E questo come lo spiega?
Ho sbagliato a non fare casino per i mancati traini o per i dispetti che abbiamo subito. Invece, quando si lamentano i mandarini si convocano vertici aziendali… viene risparmiato solo il consiglio dell’Onu.
Chi sono, questi mandarini?
Mi prende in giro? Allora scherzo anch’io e dico che preferisco vivere.
E cos’altro non le piace di questa Rai?
Della televisione in generale detesto la schiavitù da format. Non c’è giochino o varietà che non passi dai tre o quattro guru, che vendono tutto a tutti. Se poi c’è omologazione, inutile lamentarsi.
Però è così in tutto il mondo. Diversamente, la Rai potrebbe indebolirsi.
Io vorrei una Rai molto più forte. Riflettiamo un po’ su questo dato: siamo oltre 10 mila, abbiamo folte pattuglie di creativi, registi, strutture tecnologiche formidabili. In futuro sapremo fare anche qualcosa di più e di diverso per tornare a imporre il nostro gioco. Siamo la squadra più forte.
Ma il mercato esige e impone gli ascolti.
Ovviamente gli ascolti debbono essere all’altezza. Ma sono indispensabili anche un livello di qualità alto e una forte caratterizzazione di servizio pubblico. Ci sono gli straordinari programmi di Piero Angela, Raitre ha fatto boom con La grande storia e piazza in prima serata Report. E le ultime drammatiche vicende hanno dimostrato che il nostro punto forte è l’informazione, basta pensare agli ascolti e alla qualità di Porta a porta. Ma si può fare qualcos’altro.
Che cosa? E come?
I 1.500 giornalisti dei tg e dei gr, oltre ai notiziari e ai supplementi quotidiani e settimanali, sono in grado di fare altre cose eccellenti. Se messi in condizione di riuscirvi.
Ma non c’è già troppa informazione?
Purtroppo le cronache dimostrano che non ce n’è mai abbastanza. E al di là delle emergenze ci sono molti buchi neri nei palinsesti. Anche con dei magazine si potrebbero realizzare buone performance.
Lei ha il pallino di rotocalchi e rubriche.
Sì, ma non solo dei magazine cosiddetti leggeri. È chiaro, e questa è anche autocritica, che non si è dato il giusto peso ad alcune vicende internazionali. Per pigrizia e per l’eterno timore di non catturare il grande pubblico. Fatto sta che non esiste un grande settimanale dedicato al mondo, alle guerre dimenticate, ai fenomeni che si registrano oltre l’Europa, gli Usa, la Russia e, talvolta, le repubbliche dell’ex Urss.
In sintesi: lei vuol dare ancora più spazio e più potere ai giornalisti?
Si restituisca, almeno in parte, la responsabilità dei programmi di approfondimento alle testate e poi ne riparliamo. Spesso, tra doppioni e sovrapposizioni, è il Far West. Senza dimenticare che un buon programma d’informazione costa molto meno di un film scadente.
Ok. Diciamo anche, però, che il suo gioiello, il «Tg2» delle 20.30, nell’ultimo inverno se l’è passata malino.
Il tg della sera sta centrando, come al solito, l’obiettivo aziendale. In piena stagione invernale, con quiz ovunque e Striscia che dilagava, noi abbiamo toccato il baratro del 10-12 per cento di share. Poi, in primavera, abbiamo avuto medie del 17-19, addirittura il 20 per cento in agosto, con punte del 26. Significa che quando il prima e il dopo tg non condizionano l’ascolto diventiamo fortissimi. Sa, con i cartoni e i telefilm che ci precedono, non si va lontanissimo. Zorro, il nostro traino, è stato realizzato nella notte dei tempi e colorato nel ’92.
E perché non siete stati sostenuti diversamente, al «Tg2», nella stagione difficile? Ragioni politiche?
In primo luogo è sulla prima rete che si appuntano, come è ovvio, le attenzioni e gli sforzi maggiori. Poi, perché siamo considerati forse come un’anomalia: abbiamo sempre dato voce alle opposizioni e alla pluralità di soggetti presenti in una società complessa, com’è quella italiana. Ma il tifo sguaiato, i processi sommari, l’esaltazione della faziosità non hanno avuto né avranno mai nulla a che fare con me.
Torniamo alla scena televisiva. La 7: la crisi dimostra definitivamente che non c’è spazio per un terzo polo?
Mi spiace non aver visto alla prova su un nuovo progetto soprattutto Gad Lerner e Giuliano Ferrara. Che sia difficile imporre un terzo polo non è una novità. Del resto le difficoltà del gruppo entrato in possesso dell’ex Tmc, mi pare, non si fermano al settore televisivo.
Enrico Mentana ha fiutato bene il vento, altre star invece sono rimaste esposte alla tempesta.
Nessuno dei protagonisti di questa vicenda (né chi ha tentato l’avventura, né chi in zona Cesarini è rimasto dov’era) può lamentare problemi o danni economici. Anzi. Escludo che professionisti del valore di Lerner o Fabio Fazio avranno il tempo di annoiarsi. Mi auguro di rivederli subito in pista.
E per lei? «Tg1» o «Tg5»?
Albino Longhi ed Enrico Mentana sono miei amici. Il direttore del Tg1 è stato anche maestro mio e di Enrico. Ma senta: il totonomine è un giochetto che piace tanto alla stampa, come la campagna acquisti del calcio o i pronostici su Sanremo. Chi finisce nel frullatore, però, si annoia. Quindi, non gioco.
Per paura di cambiare o di esporsi?
Non appartengo né alla categoria dei pavidi, né a quella di chi calcola, mossa dopo mossa. Mi sembra solo sbagliato fare elucubrazioni sul futuribile.
Però, è noto che lei considera quella del «Tg2» un’esperienza finita.
Sono molto legato al Tg2 e a tutti quelli che lavorano con me. Abbiamo vissuto anni belli, intensi. E insieme stiamo affrontando una fase tanto delicata quanto interessante e coinvolgente sul piano professionale.
E dunque?
Domani è un altro giorno.
27-9-01