La società che svolge senza titolo attività riservate ai professionisti iscritti ad albi non ha diritto ad alcun compenso. Nemmeno per le prestazioni accessorie, quali per esempio i servizi di domiciliazione e segreteria o l’esecuzione di pagamenti vari per conto del cliente, se queste sono «un semplice corollario» di quelle riservate per legge. Il principio è stato battuto dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 21015/18, depositata ieri.
La decisione risolve un contenzioso civile avviato nel 2008 che vedeva contrapposte due società: la Alfa spa, prestatrice dei servizi, e la Beta srl, committente. Alfa aveva ottenuto dal Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo da 136 mila euro, a seguito del mancato pagamento di fatture per «servizi amministrativi» forniti a favore di Beta. Quest’ultima però si opponeva alla pretesa, eccependo tra l’altro la nullità del contratto stipulato: secondo l’azienda cliente, il negozio aveva per oggetto un’attività «protetta» che poteva essere eseguita solo da iscritti all’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili.
Sia il tribunale capitolino, nel 2011, sia la Corte d’appello, nel 2016, accoglievano le ragioni di Beta, validando l’opposizione. Da qui il ricorso per Cassazione di Alfa.
Per dirimere la questione i giudici del Palazzaccio interpretano l’articolo 2231 del codice civile, ai sensi del quale «quando l’esercizio di un’attività professionale è condizionata all’iscrizione in un albo o elenco, la prestazione eseguita da chi non è iscritto non gli dà azione per il pagamento della retribuzione». Non potendo procedere a un riesame dei dati fattuali, vietato nel grado di legittimità, la Cassazione conferma l’orientamento della Corte d’appello, ribadendo che le prestazioni di cui era stato chiesto il corrispettivo erano «proprie dei commercialisti e/o degli esperti contabili, così da confermare la nullità del contratto in cui erano state pattuite».
La società ricorrente lamentava però anche il mancato riconoscimento dei compensi relativi alle altre attività, non riservate: almeno per quelle, insistevano i difensori di Alfa, Beta doveva procedere al pagamento. Pure in questo caso, tuttavia, gli ermellini confermano il giudizio di appello. Nel caso di specie, scorporare i singoli servizi costituisce una «dissezione del tutto artificiosa nelle attività eseguite», volta a «tentare di sciogliere dall’accessorietà quelle che il giudice di merito ha reputato attività materiali imprescindibilmente connesse e finalizzate a quelle protette». Le funzioni di domiciliazione, segreteria, tesoreria e di assistenza nella preparazione delle assemblee degli organi societari erano infatti «un semplice corollario volto a rendere più efficiente il servizio finale», ma a questo intimamente connesso. Per queste ragioni il ricorso viene rigettato e Alfa condannata a rifondere a Beta le spese della lite, con l’aggiunta del raddoppio del contributo unificato.
Valerio Stroppa, ItaliaOggi