Torino – Dopo la bolla di Facebook e le fake news, arriva il momento dei fake tweet, i cinguettii automatici creati da software anziché da veri utenti. Secondo una ricerca condotta centrata su Twitter su un campione di tweet in lingua inglese, uno studio su circa 1,2 milioni di cinguettii che hanno condiviso 2.315 link a siti web (notizie, prodotti, blog e altro), gli account falsi gestiti da bot (sistemi automatici) sono la maggioranza.
In particolare, nota il Pew Research Center , due terzi dei tweet che puntano ai siti web più popolari della rete sono generati da bot, mentre gli utenti umani fanno in proporzione moltissimi meno link: appena il 6% analizzando il traffico di 500 account sicuramente “veri”, cioè registrati da individui che poi li usano personalmente e non generati da sistemi automatici.
Invece i 500 presunti bot più attivi producono il 22% dei link cinguettati in rete. Il 90% dei quali mirano a siti pornografici, ma non solo.
La conclusione è abbastanza semplice, secondo i ricercatori del Pew: «I risultato mostrano il ruolo pervasivo che gli account automatici giocano nel seminare link a un grande numero di siti web anche molto importanti».
Non è una novità in assoluto: come avevamo già notato tempo addietro , un tweet su tre di quelli a favore di Donald Trump durante la campagna elettorale per le presidenziali americane era stato scritto da un robot. Secondo la ricerca dell’università di Oxford, infatti, sia Trump che, in misura molto minore, anche Hillary Clinton hanno utilizzato robot, cioè account creati in gran numero automaticamente che pompano tweet in maniera altrettanto automatica, sommergendo la rete di messaggi strabordanti rispetto a quelli effettivamente generati dagli utenti reali.
Il problema che anche il Pew Research si trova ad affrontare però non è di natura tecnologica quanto entra nel merito di cosa sia bene o male in questo caso: gli account automatici in mano a robot, quindi controllati in ultima istanza da una sola persona, non sono solo di troll e spammer, e non mirano solo a mettere in circolazione fake news. Invece, ci sono anche i big dell’informazione, dell’industria e della cultura: sono bot quelli che rispediscono in rete informazioni del New York Times, quelli che comunicano la programmazione di Netflix, quelli che segnalano nuove mostre o altre informazioni del Metropolitan Museum of Art, per fare degli esempi controcorrente rispetto alla vulgata di cosa siano gli account robotizzati, cioè automatizzati, su Twitter o altrove.
Sempre la stessa ricerca mostra che, nonostante ci fosse timore che il contenuto diffuso dai robot su Twitter avesse una agenda politica e una parte da promuovere, invece i contenuti sono naturalmente divisi in modo bipartisan fra liberali (44%) e conservatori (41%).
La veridicità del contenuto non è stata controllata, quindi non si può ragionare sul quantitativo di fake news né sull’intenzione ultima delle informazioni twittate dai bot, ma il concetto di fondo secondo la Pew Research è che «gli account di Twitter automatici condividono una proporzione molto elevata di link da siti che hanno un pubblico di esseri umani tendenzialmente di centro. Almeno, per quanto riguarda l’informazione mainstream e le notizie di carattere più generalista».
Antonio Dini, Il Secolo XIX