Due alberi. Uno della Raggi in piazza Venezia, l’altro del Papa in piazza S. Pietro. I romani si sono sbizzarriti nei commenti. E ha vinto quello religioso: un abete rosso, alto, maestoso, donato dalla Polonia e giunto dopo un viaggio di 2.200 km. Chiamato «Rigoglio». Ai suoi piedi, un presepio. Quello laico, pagato e trasportato dalla Val di Fiemme per soli 48 mila euro, alla partenza era stupendo, ma è giunto a Roma inaridito, triste e morente. I romani lo hanno soprannominato «Spelacchio»: spelacchiato come tutta la città.
Ma per Natale è meglio l’albero o il presepio? Entrambi sono radicati nella tradizione della festa. Primo l’albero. Un archetipo presente nella mitologia di tutte le religioni. Nella Bibbia (Gen 2, 9) è piantato nell’Eden come «albero della conoscenza del bene e del male», sotto di esso i progenitori hanno peccato. Ma l’albero ha continuato a fiorire, sino a Gesù, che verrà crocifisso su legni tratti da quell’albero.
Gli ebrei hanno creato sull’albero un grande sistema cosmologico e antropologico, espresso nella «Cabala»: dieci fonti di energia (Sephirot), tre maschili, tre femminili, quattro androginiche, sostenute da tre pilastri (misura, rigore e coscienza) e unite da 22 sentieri. Naturalmente si tratta di concetti difficili e anche misterici. Quasi nessuno ci pensa. Usanza nordica, diffusasi nei secoli della storia moderna e introdotta massicciamente nell’Italia del boom economico degli anni Sessanta, l’albero di Natale testimonia più valori concreti che cifre religiose: la potenza delle luci e la ricchezza degli addobbi e dei doni. Decorazione molta, simbolo poco.
Diverso il presepio, inventato da san Francesco a Greccio nel 1223, come una «sacra rappresentazione». Per secoli elemento inscindibile del Natale, come il canto di sant’Alfonso de’ Liguori che lo accompagnava: «Tu scendi dalle stelle…». Ma per il presepio, che pur nei secoli aveva dato creazioni di altissima arte, è venuto un brutto momento. La scristianizzazione crescente lo ha sempre più emarginato e su Facebook è stato brutalmente trasformato in un coito animalesco. Per sopravvivere, si è modernizzato con l’aggiunta di statuette dei «cristi» della nostra epoca: Trump e Melania, Insigne, Elena Boschi. E anche non pochi operatori del Sacro, desiderosi di non «offendere» (?!) quelli che la pensano diversamente, cercano di evitarlo, convinti come sono che per capire gli altri occorre cancellare la propria identità.
Per secoli il presepio ha unito tutta la famiglia. Lo ricorda con tenerezza anche il giovanissimo Gabriele D’Annunzio. Lui recitava davanti alle statuette un sermoncino, poi andava a letto, dove la nonna aveva messo dolci e doni: « Un presepino / con la sua brava stella inargentata, / coi magi, coi pastori, per benino, / e la campagna tutta infarinata. [ ] E mentre i sogni m’arridean soavi, / tu piano piano mi venivi a mettere / confetti e soldarelli fra’ guanciali» (Il presepio. Alla mia nonna, 1880).
Gianfranco Morra, ItaliaOggi