Progetto dell’istituto di credito per mettere in vendita delle aziende pacchetti che vanno dall’assistenza medica alle previdenza integrativa, dal tempo libero agli sconti per beni e servizi. Con la legge di stabilità risparmi per lavoratori e imprese
La rivoluzione dei servizi bancari è in pieno svolgimento: di fronte all’aggressione dei nuovi protagonisti (esempio: i social network pronti a offrire mutui immobiliari attraverso le loro piattaforme), le banche “tradizionali”, devono a loro volta trasformarsi per non morire. Magari con meno finanza e più servizi alla clientela. Anche tornando all’antico, rispolverando sotto forma di nuovo prodotto la cara e vecchia “mutua”.
Potrebbe essere questa, in estrema sintesi, la “ratio” che sta alla base della nuova iniziativa lanciata da Ubi Banca e dedicata al welfare aziendale, sviluppato all’interno della struttura “Wealth and Welfare“, nata a seguito della riorganizzazione dell’istituto annunciata lo scorso giugno con la presentazione del piano industriale al 2020.
Il servizio è pensato per le aziende, con una base potenziale di 300mila imprese che già ora sono clienti di Ubi. In pratica, si tratta di offrire una serie di pacchetti “chiavi in mano” per quello che viene definito il welfare aziendale, che si traduce in una quota della retribuzione che le aziende offrono ai proprio dipendenti. Si va dall’assistenza medica alle previdenza integrativa, dal tempo libero agli sconti per beni e servizi.
In pratica, Ubi entra nel mercato di servizi dedicati alle imprese che – pur interessate – non hanno nè il tempo nè le competenze per stringere accordi con centri sanitari, catene di palestre, assicurazioni, ma anche con società specializzate nel tempo libero o ancora più banalmente per i centri soggiorni all’estero dei ragazzi. Essendo un mondo molto compostito (e le esigenze non tutte uguali) Ubi offre nel pacchetto anche la consulenza per create pacchetti dedicati.
Perché le aziende sono interessate? In parte, come detto, perché da tempo il welfare aziendale è diventato una voce dello stipendio: permette un aumento della retribuzione coprendo servizi che nel pubblico stanno venendo meno, ma allo stesso tempo usufruiscono di un particolare regime fiscale e sono quindi più conveniente per le aziende.
Con l’ultima legge di stabilità, poi, è stato regolamentato che cosa si può considerare walfare e cosa no, mettendo fine a miriade di contenziosi con gli enti previdenziali, a cominciare dall’Inps. Ma allo stesso tempo, i servizi sono stati allargati anche ai familiari più stretti e ai familiari a carico dei dipendenti.
Nel dettaglio, quali sono i vantaggi? Per le imprese, c’è l’azzeramento del cuneo fiscale e risparmio del 30% dei contributi previdenziali (con un costo finale per l’azienda che è pari al valore netto erogato). Per i dipendenti un aumento del potere d’acquisto dei dipendenti e delle loro famiglie attraverso la defiscalizzazione e la decontribuzione dei premi.
Ovviamente, come si può intuire, la platea dei potenziali interessati è molto vasta. Secondo gli studi più recenti (che si riferiscono al 2015), fino al 65 per cento della piccola impresa e fino all’80 della media e al 90 per cento della grande hanno piani di un qualsiasi tipo che riguarda il walfare aziendale, inserito nella contrattazione di secondo livello.
Luca Pagni, La Repubblica