IO L’HO VISTO: L’AUTISTA DI DIANA NON ERA UBRIACO
Una clamorosa testimonianza potrebbe portare nuovi dettagli nell’inchiesta sulla morte di Lady Di e Dodi Al Fayed.<>, rivela , a proposito dell’autista della coppia, lo scenografo Gaetano Castelli che, il 31 agosto 1997, era al Ritz e che conosceva bene Paul.<>, aggiunge.
di Cesare Lanza “Chi”
Da Gaetano Castelli, 66 anni, scenografo tra i più famosi in Europa, direttore dell’Accademia delle Belle Arti di Roma designato “per chiara fama” da Letizia Moratti, arriva a sorpresa una inedita, importante testimonianza sulla tragica fine della principessa.
Castelli, la prima domanda è obbligatoria: sono passati quasi otto anni dalla morte di lady Diana: perché ha deciso di parlare solo adesso?
“Per timidezza, credo. Non volevo apparire come un tizio desideroso di inserirsi in una cronaca al centro dell’attenzione mondiale, da parte di tutti i mass media. Per rispetto verso gli inquirenti, ero certo che l’inchiesta sarebbe stata rapida e persuasiva. Per di più, non sono abituato a questo genere di cose. E, soprattutto, è passato molto tempo prima che capissi che la mia testimonianza poteva avere qualche valore per stabilire come fossero andati i fatti. Avevo anche avvertito il desiderio di scrivere una lettera a Mohamed Al Fayed, il papà del compagno di Diana, ma ho sempre rinviato, per discrezione e timidezza.”
E ora?
“Ora, penso che raccontare ciò che ho visto sia mio dovere, innanzitutto verso il dolore inestinguibile di questo padre che cerca di raggiungere la verità. Il suo dolore e la sua determinazione sono in forte contrasto con l’atmosfera generale di giubilo, con cui Carlo e Camilla annunciano le loro nozze. Da una parte, ci sono le vite spezzate di Diana e di Dodi, che per me non sono una principessa e un arabo miliardario, ma semplicemente due giovani innamorati e felici. Dall’altra, il can can per un matrimonio legato a un legame quanto meno discutibile, che procurò dolore e tormento a Diana.”
Cominciamo dall’inizio. Lei si trovava a Parigi, in quegli ultimi
giorni di agosto del 1997.
“Sì. Arrivai il 28 agosto, giorno del mio compleanno, con la mia seconda moglie. E come d’abitudine avevo prenotato al Ritz, l’albergo di proprietà di Mohamed Al Fayed, dove vennero a cenare Diana e Dodi, la sera del 30 agosto.”
Che cosa ricorda, di quel giorno fatale?
“Avevo prenotato un tavolo nel ristorante esclusivo del Ritz. Ma, prima di arrivare alla cena, mi sembra importante riferire un altro particolare.”
Dica.
“E’ stato scritto e la Corte d’Appello di Parigi ha dato per acquisito che Henry Paul, autista esperto, uomo di fiducia di Dodi e personaggio centrale nei servizi di sicurezza del Ritz, fosse ubriaco e drogato. E perciò in stato confusionale, responsabile dell’incidente che costò la vita a lui, a Diana, e a Dodi.”
Lei si riferisce all’uomo al volante dell’auto che, poi, andò a fracassarsi nel tunnel del Pont dell’Alma. Ebbene?
“Per me, si tratta di una sciocchezza assolutamente inverosimile. A mio giudizio, per due motivi. Conoscevo bene Henry Paul perché frequentavo ed ero spesso ospite del Ritz e avevo visto in azione quest’uomo: sempre perfetto, inappuntabile. Uno di quegli uomini che ti procurano addirittura un lieve senso di antipatia o di fastidio proprio perché sono, in ogni situazione, all’altezza del compito. Freddo e riservato, puntuale, tempestivo, professionale, perfezionista. E poi, poco prima di cena, lo avevo visto all’opera: certamente era tutt’altro che ubriaco.”
Perché?
“ Ero seduto in una poltrona nella galleria del Ritz: arrivò un signore che andò a sedersi su un divano. Immediatamente arrivò Henry Paul che gli chiese a bassa voce se fosse ospite dell’albergo e, avuta una risposta negativa, lo invitò fermamente ma gentilmente a uscire. Con la solita, perfetta professionalità.”
Torniamo alla cena.
“La sala era completa. Con il solito ambiente caratterizzato da nobili, signore miliardarie in pensione, imprenditori, finanzieri: gente snob, tutti conosciuti a perfezione dalla direzione dell’albergo e ben valutati, in discrezione, dai servizi di sicurezza. Stavo brindando con mia moglie con un bicchiere di champagne in mano, quando mi accorsi dell’ingresso di un piccolo corteo, accolto da un lieve, sommesso chiacchiericcio. Lì per lì notai questo giovane vestito in maniera casual e mi chiesi, ricordo, come mai potesse entrare in abito sportivo in un luogo super elegante, esclusivo. Poi osservai meglio e li riconobbi: i due giovani che andarono a sedersi a a un tavolo a una distanza di dieci/quindici metri da noi erano Diana e il suo fidanzato. Nessun altro tavolo tra il loro e il nostro.”
E poi?
“Confabularono con il maitre e subito dopo arrivò una bottiglia di champagne. Quasi senza rendermene conto, fui anche un po’ sfacciato. Alzai il bicchiere, Diana sorrise… I nostri sguardi si incrociarono e lei rispose con un lieve cenno del suo bicchiere.”
Come si comportavano, Diana e Dodi?
“Questo è il punto: erano un uomo e una donna con evidenza innamorati e in stato di grazia. Simili in tutto a qualsiasi altra coppia di innamorati.”
Per favore, mi spieghi con precisione.
“Parlavano sussurrando, si sorridevano con tenerezza, si sfioravano le mani, giocherellando con le dita… Accennavano una carezza… Non so come dire! Erano radiosi, solari. Felici, felici. E di ottimo umore.”
Quindi, in conclusione, qual è la sua opinione?
“Nei giorni e nei mesi successivi ho letto qualsiasi cosa. Come e perché il loro legame fosse in crisi. O che Dodi fosse una copertura rispetto ad un’altra relazione di Diana. Ebbene, queste supposizione mi appaiono indegne, fuori dalla realtà. Assolutamente. Ho visto con i miei occhi che erano un uomo e una donna felici di stare insieme, ripeto con evidenza felici, visibilmente innamorati: parlavano, scherzavano, con quella complicità che distingue gli innamorati.”
E’ verosimile che Diana fosse in attesa di un figlio?
“Questo, di certo io non posso saperlo. Ma se qualcuno quella sera mi avesse detto, o mi dicesse ora, che la principessa aspettava un figlio, non mi sarei certo stupito, né mi stupirei oggi. Diana era l’immagine, il simbolo della donna appagata, senza un’ombra, contenta di sé.”
E poi, che cosa ricorda?
“Restarono al tavolo solo per il tempo di bere quell’aperitivo. Meno di mezzora. Poi si ritirarono: lessi sui giornali, il giorno dopo, che salirono nel loro appartamento, per la cena.”
Ricorda a che ora?
“A cena avevo prenotato per le 21.30/22. L’incidente dell’auto avvenne venti minuti dopo la mezzanotte. A ripensarci mi vengono i brividi: nessuno avrebbe potuto immaginare che quei due giovani sarebbero morti dopo poco più di due ore.”
E lei cosa fece, alla fine della cena?
“Uscii, con mia moglie, per una passeggiata a piedi. E fui impressionato dalla parete umana formata dai fotografi e giornalisti davanti all’ingresso principale del Ritz. C’erano due file di fotografi, alcuni paparazzi erano saliti sulle motociclette e sulle auto, per veder meglio. C’era a fronteggiarli una guardia in divisa con un temibile cane lupo, altre guardie probabilmente erano in borghese. Con mia moglie ci avviammo verso Place Vendome.”
E al ritorno?
“Quando rientrammo in albergo feci ancora a tempo a vedere la principessa e il fidanzato che uscivano da una porta secondaria, oltrepassando una piccola galleria del Ritz, in mezzo a un piccolo codazzo di persone. Diana vicina, stretta a Dodi: questo è l’ultimo ricordo. Seppi in seguito che avevano deciso di andare a pernottare nella villa che fu dei Windsor, di proprietà di Mohamed Al Fayed. Al mattino dopo – può immaginare il mio choc – mi portarono il giornale: in prima pagina con un grande titolo era riportata la notizia del disastro e della tragica morte di Diana.”
E questo è tutto?
“Sì. Posso aggiungere un’altra riflessione: si è scritto molto a proposito di un presunto mistero, legato all’auto utilizzata quella notte, una Mercedes 280. Con elucubrazioni varie sul perché non fosse stata utilizzata l’auto di Dodi. A mio parere, nessun giallo: la Mercedes nera era una delle auto utilizzate dal Ritz, blindate, per ricevere all’aeroporto i clienti di riguardo e per accompagnarli nei giri in città. E Dodi non scelse la sua auto, presumo, preferendone un’altra anonima, nella speranza di depistare i paparazzi. Anch’io ho avuto a disposizione più di una volta una di queste auto.”
Perché lei va spesso a Parigi?
“Lavoro molto in questa splendida città, come scenografo, tra l’altro, del Moulin Rouge.”
Mi dica infine la sua conclusione, la sua opinione personale.
“Non sono un investigatore e non posso addentrarmi in territori che non mi appartengono. Ma in buona coscienza posso sostenere due cose: la prima è che Henry Paul non era assolutamente ubriaco, è inverosimile che potesse esserlo e che assumesse sostanze stupefacenti. Escludo che la responsabilità dell’incidente possa essergli attribuita per questo motivo. Più probabile, come ho letto, che la Mercedes abbia sbandato perché l’autista sia stato abbagliato da un’altra auto. La seconda riflessione riguarda Diana e Dodi: due persone in crisi, o peggio due persone che recitano una parte, non si comportano come li ho visti fare io. Avevano la gioia negli occhi. Questo vorrei che sapessero il papà di Dodi, che si batte tra mille difficoltà per accertare la verità, e tutti coloro che hanno seguito con affetto sincero, al di là dei pettegolezzi, la tormentata vita sentimentale della principessa.”
Tra le ipotesi sulla fine di Diana c’è anche quella di un complotto teso ad abbattere una relazione scomoda e/o impedire la nascita di un bambino, frutto di questa relazione. Lei come considera questa ipotesi, romanzesca o verosimile?
“Non mi piacciono i pettegolezzi e non ho alcuna competenza per affermazioni di tale gravità. Posso dire che le conclusioni ufficiali dell’inchiesta francese non mi appaiono persuasive. E la fine di Diana è tuttora oggetto di indagine, da parte di Scotland Yard: ci sono elementi poco chiari, discutibili, deformanti. Mi auguro che si possa, dopo tanti anni, accertare la verità.”
7-3-05