A giugno i debuttanti Chiara Appendino, Giuseppe Sala e Virginia Raggi hanno vinto le elezioni nelle loro città. Ecco il bilancio delle prime mosse
La partenza delle nuove amministrazioni è andata meglio al Nord rispetto alla Capitale. Un dato oggettivo se si guarda ai primi 100 giorni dei sindaci di Torino, Milano e Roma. Nel derby a 5 stelle tra le sindache vince a mani basse la torinese Chiara Appendino, che si è distinta per uno staff con stipendi sotto la media e per un atteggiamento pragmatico che le ha consentito di collaborare col governatore Pd Sergio Chiamparino nella battaglia sul Salone del libro combattuta con Milano. Sotto la Mole dunque la luna di miele con la sindaca della buona borghesia è ancora in corso, come attestano anche i sondaggi, mentre a Roma Virginia Raggi stenta, nonostante la calorosa accoglienza ricevuta alla kermesse grillina di Palermo: poche delibere (39 contro le 209 della collega), continue liti dentro il Movimento, postazioni chiave della giunta e delle partecipate ancora vacanti dopo le dimissioni a catena dell’assessore al Bilancio e del Capo di gabinetto. Su alcuni nomi ipotizzati è subito calata, ancora una volta, la bocciatura dei vertici del M5S.
Anche a Milano ci sono state polemiche sullo staff, e la revoca dopo pochi giorni di un segretario generale, Antonella Petrocelli, rinviata a giudizio per turbativa d’asta. Polemiche anche per la raffica di ex collaboratori di Sala in Expo trasmigrati a palazzo Marino. Ma il sindaco-manager non è rimasto fermo: ha già varato una delibera da 30 milioni per il recupero di 2mila case popolari vuote, ha stretto rapporti con il collega di Londra, prova a conquistare l’Agenzia del farmaco ed è volato in Giappone per attrarre turisti in sinergia con la Scala. “Fare in fretta, correre”, il suo mantra, molto apprezzato dal premier Renzi che ha firmato con Sala il “Patto per Milano” e considera la città una bandiera del governo locale Pd. Esattamente quello che, sul versante 5 stelle, ha fatto Beppe Grillo con Appendino. Raggi, invece, dopo il trionfo di giugno con oltre il 67% dei voti, appare sempre più sola. Circondata da un drappello di fedelissimi poco amati dal Movimento.
MILANO Primo intervento 30 milioni per le periferie
La delibera simbolo della giunta che ha promesso di curare le periferie è stata approvata all’inizio del mese: 30 milioni per dare corpo al piano “zero case sfitte” e ristrutturare duemila alloggi popolari vuoti. Ma l’ex Mr Expo vuole puntare anche su un altro fronte. Quello internazionale. Beppe Sala non si è messo – a differenza del governatore Roberto Maroni – alla rincorsa della candidatura olimpica a cui Roma ha rinunciato, ma ha deciso di giocare subito le carte di Milano sulla promozione all’estero. È volato a Londra per incontrare il collega Sadiq Khan e capire come conquistare in chiave Brexit investimenti e l’Agenzia europea del farmaco. Ed è appena tornato dal Giappone, dove ha aperto la caccia ai turisti.
Sta in questi due estremi, il debutto di Sala come sindaco. E la cifra del suo mandato. Una città, ripete, che non deve più marciare a due velocità (sociali ed economiche) diverse. Ed ecco un’altra ossessione: “Fare in fretta, correre”. A cominciare dalla formazione della squadra. Una giunta a trazione Pd, come alcuni nomi dello staff (dalla direttrice generale al capo di gabinetto) sbarcati a Palazzo Marino insieme ai fedelissimi dei tempi di Expo. In tutto sono stati nominati 52 cosiddetti “articoli 90”, tre “articoli 110”, due consulenti. Subito risolto anche l’inciampo della segretaria generale sostituita dopo il rinvio a giudizio nell’inchiesta sulle paratie del lago di Como.
Entro la fine dell’anno, il sindaco vuole impostare tutti i filoni di lavoro. Molti dossier sono già stati aperti, anche dialogando con il governo. Perché con la sua vittoria, in fondo, l’ex manager ha arginato la disfatta nazionale del centrosinistra alle amministrative. Non è un caso che Matteo Renzi si veda sempre più spesso a Milano (oggi lancerà Human Technopole, il progetto scientifico per il post Expo). È questa, ha ribadito il premier, “la città di riferimento per l’Italia nel mondo”. Solo strategia politica? Lo ha detto siglando con Sala il “Patto per Milano”: un documento che vale 2,5 miliardi (anche se i soldi disponibili per ora si fermano a 600 milioni) e contiene scelte strategiche. Un progetto per tutti: la volontà di prolungare le linee della metropolitana verso l’hinterland. In chiave ambientale, è stata rilanciata la riapertura del tracciato storico dei Navigli. I problemi non mancano. C’è la grande quantità di profughi da accogliere, i rapporti da ricostruire con le comunità islamiche per l’eterna promessa di una moschea. C’è il traffico di un centro tagliato dalla linea 4 del metrò da governare, la fame di case e lavoro. E ci sono quei mali delle periferie da curare, il vero banco di prova.
TORINO Subito un piano per strade e scuole, pesa il caso Salone
Da quando si è insediata a Palazzo Civico come sindaca di Torino, relegando Piero Fassino all’opposizione, la popolarità di Chiara Appendino è cresciuta senza particolari sforzi. Merito soprattutto dei passi falsi fatti dagli altri sindaci M5s, Virginia Raggi in testa. Appendino è diventata l’icona del buon governo pentastellato. Un modello certificato dalla visita di Beppe Grillo e dal bagno di folla tra la base radunata a Palermo. “Chi non fa, non sbaglia”, sottolinea però l’opposizione. Il Pd, che dopo la sconfitta prova a riorganizzarsi, e Forza Italia ironizzano “sui tavoli aperti e l’assenza di scelte” tra le 209 delibere approvate. Spicca il via libera al piano da 18 milioni per scuole, strade e periferie. Soldi che arriveranno dal governo.
Torino non è Roma. La città è stata governata negli ultimi cinque anni, i servizi non sono mai entrati in crisi. Mentre Raggi affrontava il problema rifiuti in strada, a Torino Appendino doveva occuparsi della pulizia del Po. Piante tropicali che dopo la prima “mondatura” a mano, efficace da un punto di vista mediatico, sono ricresciute. Risultato? Il fiume è sporco, si dovrà intervenire di nuovo e la grana è sempre lì. La sindaca, figlia della buona borghesia, è riuscita ad azzeccare la squadra: ad agosto mentre a Roma infuriavano le polemiche sul compenso del capo di gabinetto del Campidoglio, Torino si poteva fregiare di applicare gli stipendi più bassi d’Italia.
La rogna più complicata da gestire è stato lo scippo milanese del Salone del Libro. Non tutti i mali vengono per nuocere. Il risultato lo si vedrà solo a maggio 2017 dal confronto fra le due manifestazioni, ma sulla querelle Appendino è già passata all’incasso. Ha ottenuto uno sconto del 50 per cento sull’affitto del Lingotto dai francesi di Gl e ha coltivato un asse con il presidente del Piemonte Sergio Chiamparino. Collaborazione pragmatica e istituzionale criticata da molti nel Pd. Appendino dal palco di Palermo rivendica quello che ha fatto (con Chiamparino) inneggiando al “grande Salone e al grande evento”. Fino a qualche tempo fa un tabù, al pari delle “grandi opere”, per i 5 Stelle.
Sulla Torino-Lione rimane il “no”, peccato che il Comune non possa far nulla per bloccarla. Al massimo può uscire dall’Osservatorio. E in attesa di capire cosa fare ha sfrattato gli uffici dell’Osservatorio per lanciare un segnale ai No-Tav. Appendino preferisce la linea prudente e dialogante, ma poi fa decadere le delibere della giunta Fassino e blocca le spese per 45 giorni, in attesa di avere un quadro chiaro sui conti e sui buchi di bilancio ereditati.
ROMA Paralisi capitale, appena 39 delibere (23 per le poltrone)
Nemmeno la carta di credito. Doveva essere il suo primo, simbolico gesto: rinunciare a quel benefit che aveva finito per inguaiare (e far cadere) il suo predecessore Ignazio Marino. D’altronde Virginia Raggi l’aveva detto in campagna elettorale: “Se eletta il primo atto sarà tagliare la carta di credito”. Era il 12 maggio. Oggi a 100 giorni dalla conquista del Campidoglio, quel provvedimento non è ancora stato preso. “Ma non l’ha mai usata”, dicono in Comune. Sta di fatto, però, che molte delle promesse della prima cittadina a 5 Stelle restano (ancora) lettera morta.
Colpa degli inciampi e delle polemiche che hanno costellato questi tre mesi, iniziati con le lacrime dal balcone del suo ufficio, quello con vista Fori, e con una diretta Facebook (“Finalmente i romani entrano nelle istituzioni”) e proseguito con le continue frizioni interne al M5s soprattutto su nomine di assessori e staff.
Anche perché, delle 39 delibere finora licenziate dalla giunta, 23 riguardano poltrone più o meno di peso: da quelle dei collaboratori a quelle dei vertici di Ama e Atac, tra dimissioni e revoche. Finora sono andati via in cinque, tutti in un giorno solo, il primo settembre. Da allora, a Roma manca un assessore al Bilancio, il capo di gabinetto del sindaco, un direttore generale di Atac e un amministratore unico di Ama. Solo quello dell’azienda dei trasporti è stato finora rimpiazzato.
Dopo il primo mese, il 23 luglio, il M5s aveva pubblicato un video di tre minuti con le cose fatte da Raggi, compreso l’incontro col Papa e il Campidoglio illuminato per le vittime di Dacca e Nizza. Poi, due giorni dopo, un altro video, quello del blitz in Ama dell’assessore Paola Muraro, ha innescato la prima fiammata di polemiche. Nel frattempo si è passati dall’emergenza rifiuti (risolta anche grazie al Ferragosto e alla città mezza vuota) a quella dei trasporti (tamponata col recupero di 18 milioni per la manutenzione della metro A). C’è stato anche un assestamento di bilancio e una delibera che riduce le cubature di cemento nel progetto di riqualificazione dell’ex Fiera, un protocollo d’intesa col governo per il raccordo anulare delle biciclette e un bando con progetti per le periferie. La sostanza, al momento, è tutta qui. Insieme a quel no ai Giochi del 2024, finora solo annunciato. L’Aula lo voterà giovedì. Lo “scalpo” che chiude (per ora) le polemiche dentro al M5s. Quelle in Campidoglio, invece, non si placano, con la macchina ingolfata e le caselle mancanti che paralizzano l’attività. Domani potrebbe arrivare il nuovo assessore al Bilancio. Ma dopo un mese di assenza nessuno si sente di scommettere un euro.
Repubblica