Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
“Caro Cesare,
seguendo lo spoglio elettorale del ballottaggio, mi è venuta spontanea una riflessione (anzi un amarcord) su un aspetto ignorato del “dopo voto”. E che si rafforza dopo l’esito della consultazione.
Nel giugno 1978, sotto una forte spinta anti governo centrale, vinse la Lista per Trieste, il cosiddetto “Melone“, ottenendo il Sindaco e una giunta di minoranza. E non solo.
Avevamo molte ragioni da vendere, allora, per ribellarsi, a cominciare dall’indifferenza nazionale. Per ultimo arrivò il Trattato di Osimo (novembre 1975) che poneva fine autoritariamente ad un lungo e doloroso contenzioso tra Italia e l’allora ex Jugoslavia (che prima aveva visto tra l’altro la dolorosa divisione in “Zona A” italiana e “Zona B” jugoslava), ma passando sopra la testa della città e imponendo scelte (non solo politiche, amministrative e pure industriali) assurde e avulse dalla realtà.
Alimentando così una preesistente rabbia e un forte senso di delusione e abbandono.
E a questo si aggiungevano le solite rimostranze, tuttora vive, per l’indifferenza di “Roma” per una città travagliata e reduce dalle vicende della storia e della Guerra Fredda e poi dalla gestione del GMA, il Governo Militare Alleato.
La Lista per Trieste in poco tempo conquistò il Sindaco della città (l’avvocato dello Stato Manlio Cecovini) e una rappresentanza in Comune, ma anche in Provincia, in Regione, un deputato in Parlamento a Roma e persino uno a Bruxelles.
La rappresentavano persone di diverse categorie, tra cui diversi professionisti.
Ma fecero molta fatica a governare non per loro inettitudine e inesperienza, ma perchè avevano tutti contro: dal Governo centrale a quello Regionale, dal personale alla nomenklatura locale e alle organizzazioni sindacali, tutti legati ai partiti tradizionali, che fecero quadrato per bloccare e penalizzare l’attività della Lista per Trieste e dimostrarne il fallimento. E così fu.
Veniamo ad oggi. Il rischio che i nuovi amministratori locali facciano fatica a governare è dato non tanto dall’evidente inesperienza, ma – come allora – dall’aver contro non solo il Governo (non dimentichiamo la non tanto velata minaccia della ministra Boschi), ma anche i dirigenti e l’apparato comunale tutto, che è sinora vissuto e galleggiato nella convivenza, non sempre ortodossa e lecita, con i “vecchi” partiti.
Per non dire dell’indispensabile apporto dei cittadini che dovrebbero sentirsi coinvolti non tanto in un progetto politico, quanto in un modus vivendi improntato al senso civico, a partire dal rispetto delle regole e al decoro.
Forse solo Dio, infatti, potrebbe davvero ben governare una città complessa e difficile qual è Roma, composta da cittadini molto individualisti, spesso arroganti e permalosi.
Inutile protestare per il mal governo se poi ciascuno di noi continua a non rispettare le regole, a partire dal Codice della Strada, a prevaricare gli altri, ad abbandonare le immondizie fuori dai cassonetti, a non pagare il biglietto dei mezzi pubblici (“Tanto tutti fanno così!”) e i negozianti a non tener pulito il tratto di marciapiede di fronte al loro esercizio (come ben prevede il Regolamento capitolino).
Insomma, da un lato partiti tradizionali e nomenklatura capitolina, dall’altro cittadini egoisti, incivili e indisciplinati saranno la bestia nera dei nuovi amministratori, qualunque bandiera innalzino.
Grazie per l’attenzione e cordialissimi saluti.”
(DDM, lettera firmata)