(di Mauro della Porta Raffo) “La Camera dei Rappresentanti sceglierà il suo speaker e gli altri suoi funzionari”, così inizia l’ultimo breve capoverso del secondo comma dell’articolo uno della Costituzione americana.
Come ognun vede, non v’è traccia della in queste occasioni attesa seguente o meno indicazione “al proprio interno”.
Di conseguenza, chiunque possieda i requisiti richiesti per farne parte può essere elevato a tale ruolo.
Non è storicamente mai accaduto che a tale determinazione si arrivasse ma quando a gennaio scorso il consesso in oggetto si è trovato alla bisogna in notevoli difficoltà perché un certo numero di repubblicani si rifiutava di eleggere il candidato ufficiale del partito nella circostanza derivata dall’esito delle Mid Term Elections di maggioranza, Justin Amash, ex suo componente in origine appartenente al Grand Old Party e successivamente libertariano – il primo Congressista di questo relativamente giovane movimento – si è allegramente proposto da esterno (non si è ricandidato già nel 2020) per ricoprire l’incarico.
È questa in qualche modo folkloristica avventura finita male – e in quale altro modo avrebbe potuto terminare? – ma è servita a riportare Amash all’onore delle cronache.
Un uomo politico la cui etnia è araboamericana di spessore e dimostrate capacità, poco disciplinato e creativo il quale aveva per qualche momento accarezzato l’idea di candidarsi nel citato 2020 per White House appunto nel Libertarian Party.
Non se ne fece nulla, ma per queste interessanti e alternative fila sarebbe bene accadesse nel 2024.
Potrebbe, nel caso, con buona probabilità, Justin Amash rinverdire e forse migliorare i, relativi naturalmente, fasti elettorali del Gary Johnson 2016 capace di conseguire un considerevole tre per cento abbondante pari a circa quattro milioni e mezzo di voti popolari.
Un ipotetico, interessante e probabilmente per qualche verso idealmente necessario ‘terzo’.