Dal neorealismo di ieri a quello di oggi, diagnosis la settima arte raccontata da Giuliano Montaldo, da 62 anni Maestro del cinema e del teatro italiani.
Donato Moscati*
Giuliano Montaldo, genovese di nascita, inizia la sua carriera cinematografica come attore, diretto da Carlo Lizzani, per poi approdare alla regia di film che resteranno pietre miliari nella storia del cinema italiano come Gott mit uns (1970), Sacco e Vanzetti (1971) e Giordano Bruno (1973). E? stato anche regista di uno dei grandi kolossal della tv anni ’80, Marco Polo (1982). Decide di abbandonare il cinema per quasi 20 anni e dedicarsi alla lirica, negli anni ’90 porta la Turandot di Giacomo Puccini allo stadio Olimpico di Roma. La sua ultima fatica cinematografica e? stata il film L’industriale, nel quale racconta la crisi economica vista con gli occhi di un imprenditore. Elegante e disponibile, un vero Maestro e signore del Novecento italiano.
Come e? nata in lei la vocazione per l’arte cinematografica?
“Negli anni ‘50 avevo 20 anni e vivevo a Genova, una citta? molto lontana dal cinema, Roma era vista come un sogno. E? accaduto tutto per caso, nonostante avessi una grande passione per lo spettacolo, ero sempre pronto a gigionare su un palco pur non avendone molti a disposizione, visto che a Genova i teatri erano stati quasi tutti bombardati. Avevo spesso voglia di salire sul palco. Accadde che nel 1950 al teatro Carlo Felice di Genova, teatro di grande tradizione lirica, anch’esso semi distrutto da una bom- ba, andai in scena con lo spettacolo Teatro di massa. Nel pubblico c’era Carlo Lizzani alla ricerca di attori per il suo primo film Achtung! Banditi!, alla fine dello spettacolo mi chiamo? da parte e mi propose di entrare a far parte del cast, nel quale, tra gli altri, c’erano una giovane Gina Lollobrigida, Andrea Checchi, Lamber- to Maggiorani, il mitico attore di Ladri di biciclette e tanti altri gio- vani genovesi. Il film nasceva con pochi soldi, da una sottoscrizione popolare, una cooperativa spettatori-produttori, e fu realizzato con grandi sacrifici. Non pensavo al guadagno, ma a vivere bene quell’avventura. Mi colpi? la magia di questo mondo. Esordi? in quel film come direttore della fotografia Gianni Di Venanzo, che con Fellini diven- tera? uno dei miti del cinema italiano. Ci ritrovammo poi a Roma per terminare le riprese del film, la cooperativa si trasferi? ed io decisi di seguirli con grande affetto da parte dei miei genitori che non aveva- no la piu? pallida idea di cosa andavo a fare e senza sapere quali sarebbero stati i sacrifici. All’epoca non c’era la possibilita? di fare televisione o la pubblicita? che ti davano la possibilita? di un guadagno facile, solo il cinema e il teatro. La cooperativa produsse un altro film Cronache di poveri amanti sempre con la regia di Carlo Lizzani, film ambientato a Firenze, tratto da romanzo di Vasco Pratolini, dove interpretai il ruolo del marito di Antonella Lualdi; nel cast c’era anche Marcello Mastroianni ed un esordiente, credo al suo unico film, Adolfo Consolini, uno dei piu? grandi campioni di lancio del disco. Con il tempo vo- levo capire quale era il mondo di Lizzani e volevo capire che diavo- leria di mestiere era il suo, cosi? affascinante. Forse non l’ho mai ca- pito, perche e? un mestiere che non si capira? mai, ogni film e? diverso ed e? una nuova avventura bella da vivere. Successivamente ho avuto la fortuna di incontrare Elio Petri e Gillo Pontecorvo, di cui sono stato aiuto regista nel suo primo film del 1957 La grande strada azzurra, poi in Kapo? del 1959 e ne La battaglia di Algeri del 1966.
Cosa ha rappresentato per lei il neorealismo?
“Il cinema usciva da un momento terribile, Cinecitta? era sta- ta occupata da quelli che avevano perso la casa, nei teatri di posa c’erano i dormitori. Nel ’43 con la fuga da Roma dei fascisti e dei nazisti si porto? il cinema a Venezia. Il neorealismo raccontava storie viste ed annusate per le strade e trasferiva delle emozioni forti nella pellicola. Storie che sono un po’ quelle di oggi, Ladri di bici- clette” disperati e senza lavoro, si potrebbe rifare oggi, a quell’epo- ca aveva un significato forte. Bisognava andare per strada perche? non c’erano altre soluzioni, la poverta? rese geniale quel tipo di cinema con quei i suoi uomini fantastici, come Vittorio De Sica, Roberto Rossellini o Cesare Zavattini che sono riusciti a far diventare ricco di idee e d’interesse mondiale una cinematografia che non aveva tante finestre nel mondo, soprattutto durante il periodo dei cosiddetti telefoni bianchi, nonostante ci fossero personalita? come Alessandro Blasetti o Mario Camerini. Pero? il cinema del dopoguerra ha rappresentato coraggio, idee, invenzione e grande voglia di narrare, fino al punto di far dire ad un signore: “Basta con questo cinema delle sofferenze, con questo cinema povero!”.
Chi era questo signore?
“Giulio Andreotti! Il nostro cinema e? sempre riuscito a rialzarsi in piedi con delle invenzioni, basta pensare a Sergio Leone o a quello che Tarantino dice a proposito di tanti registi che noi e la critica abbiamo guardato con distacco e diffidenza, che dice ispiratori di grandi storie. Ma anche i film sull’antica Roma. Si e? sempre partiti dalle grandi idee del cinema italiano”.
Se le dico la parola burattini, cosa le viene in mente?
“Mi viene in mente quando da bambino mi regalarono un tea- trino con le marionette e d’estate i miei genitori mi portavano a Parodi Ligure, in provincia di Alessandria; appena arrivavo i vecchietti del paese prendevano le sedie, venivano in questa piccolissima piazza della chiesa, si mettevano li? ed aspettavano che io montassi il mio teatrino e facessi il mio spettacolo. In fondo era la televisione ante litteram. Non so bene cosa raccontasse guerre tra i due personaggi, baruffe, in italiano con un po’ d’accento”.
Si puo? dire che e? stato il suo esordio?
“Esattamente, anche se poi, dopo la guerra io ed alcuni miei amici ci impossessammo di un teatro, mi inventai regista e quello divento? un posto di grandi follie e di invenzioni. Scoprii che c’era un signore nel paese che ballava tiptap con i pattini a rotelle, lo presi e lo portai sul palcoscenico creando dei numeri con lui. Successi- vamente venni a sapere che, quella che sarebbe diventata mia suo- cera, Vera Vergani (la grande attrice degli anni ’30, la prima che porto? in scena Sei personaggi in cerca d’autore al teatro Valle a Roma), era una mia spettatrice e alla domenica veniva a vedere i miei spettacoli. Anni dopo le chiesi perche? veniva a vedermi e lei mi rispose: “Perche? eravate cosi? divertenti e pieni d’amore per il teatro che va- leva la pena venirvi ad applaudire”. E? stato uno dei complimenti piu? belli che abbia mai ricevuto”.
Se le dico intolleranza?
“La mia sofferenza! Il mio primo film Tiro al piccione, tratto dal romanzo di Giose Rimanelli, era la storia di un ragazzo nato e cresciuto in una famiglia fascista che decide a 16 anni di arruolarsi volontario nella Repubblica sociale, scoprendo alla fine che la patria non era dalla sua parte, ma dall’altra. Questo primo film l’ho guar- dato con tolleranza, scoprendo poi che erano stati tanti quelli che ne- gli anni hanno capito di essere dalla parte sbagliata. Ma essendo il primo film mi hanno sparato addosso ed ho capito realmente chi era- no gli intolleranti. Non volevo piu? fare cinema, ero mortificatissimo. Poi un produttore generoso mi offri? la possibilita? di fare due film in America: Ad ogni costo nel 1967 e il primo Gli intoccabili nel 1969; fu con grande soddisfazione che capii che sapevo condurre quella grande macchina che e? il cinema all’americana avendo anche dei ri- sultati economici importanti. Sono tornato a casa e mi sono detto: “…adesso faccio i film che voglio fare io”. Con fatica, volonta? e de- terminazione ho fatto i film che raccontano la mia sofferenza per l’intolleranza. L’ho fatto con Gott mit uns, con Sacco e Vanzetti, con Giordano Bruno e con gli Occhiali d’oro e tanti altri”.
E? stato facile trovare i soldi per produrre questi film?
“Non e? mai stato facile. Basti pensare che la prima volta che proposi ad un produttore Sacco e Vanzetti, credeva fosse una ditta di import-export. Poi ho trovato Arrigo Colombo, un produttore italia- no ed ebreo costretto a scappare dall’Italia per le leggi razziali, che, trasferitosi in America, era riuscito ad imparare l’inglese leggendo le lettere che Vanzetti scriveva, in un inglese semplicissimo, ai comitati di difesa”.
Poco tempo fa e? uscito il film Romanzo di una strage, ma fu lei, anni fa, che propose un film sulla morte di Spinelli. Come mai non venne mai realizzato?
“Sia io sia Carlo Ponti stavamo lavorando al film, quando ci fu data la notizia della morte del commissario Calabresi e poiche? non avevamo nessun elemento per capire cosa sarebbe successo, al- zammo le braccia e il film non si realizzo?. Era Ponti che voleva fa- re il film, perche? scopri? che la finestra dalla quale era defenestrato Pinelli era dell’aula dove aveva lui studiato, prima di essere una questura era stata una scuola, la sua scuola”.
Per la tv e? rimasto nella storia il suo Marco Polo; come vede la tv di oggi e soprattutto la fiction?
“Con il Marco Polo ho vinto l’Emmy award, che e? il premio piu? importante per la tv. C’e? una cosa che non riesco a capire, come mai non si fanno piu? delle coproduzioni? Il mio Marco Polo senza la coproduzione italiana, giapponese ed americana non si sarebbe potuto fare. Spero ci sia una svolta, non e? possibile fare i voyeur in televisione. Guardare dal buco della serratura cosa succede su quel- la spiaggia o dentro quell’appartamento”.
Come mai ha deciso di non fare film per quasi 20 anni, dal 1989 al 2008?
“Intanto perche? mi ero innamorato della lirica e poi perche? avevo sofferto per il film Tempo di uccidere; avevo fatto il sopraluogo in Etiopia e mi dicono che non posso girare la? perche? era pericoloso, cosi? siamo finiti in Kenya; c’erano dei costi pazzeschi, cosi? ci siamo spostati in Zimbabwe, ma era un posto troppo violento. Avevo pensa- to una location e sono stato costretto a girarlo in tutt’altro posto. Co- si? ho deciso di non fare piu? film, ma poi la notte ripetevo motore… azione!, e mia moglie mi ha detto: “E? meglio se riprendi a fare film!”.
Mai come in questi giorni si parla dei tanti casi di suicidio tra gli imprenditori a causa della crisi. Quando ha cominciato a scrive- re il soggetto de L’industriale pensava che la crisi potesse arriva- re a questo punto?
“Abbiamo iniziato a lavorare, con mia moglie Vera Pescarolo ed Andrea Purgatori, nel 2010. Non immaginavo la crisi potesse prendere questa piega; quello che prima era un maremoto si e? tra- sformato in uno tsunami. Mentre giravamo vedevamo fabbriche sempre piu? in crisi o occupate, piazzali vuoti, una situazione tutt’ora drammatica. Ancora oggi mi chiamano per discutere de L’industriale, cosi? come per Giordano Bruno. Questo vuol dire che i film vivo- no quando hanno dentro la voglia di far discutere”.
Che effetto le ha fatto sapere che il presidente Napolitano ha voluto assistere all’anteprima del suo ultimo film durante il Festival del cinema di Roma, pagando regolarmente il biglietto e sedendo in un posto qualsiasi, in mezzo agli altri spettatori?
“E? stato un gesto meraviglioso, credo che una persona che da? un esempio di questo livello e? sempre straordinaria. Mi ha fatto im- pressione perche? noi non lo sapevamo, eravamo a fare le fotografie e lui era gia? in sala. Quando me lo hanno detto sono corso a ringra- ziarlo per la sua presenza, ma lui era meravigliato del nostro stupo- re, come a dire “Perche? siate tutti sbalorditi che sono qua? Ho com- prato due biglietti ed eccomi qua!”.
Come nasce la collaborazione con Ennio Morricone, che ha cu- rato le musiche della maggior parte dei suoi film?
“Tra film e documentari per me ha curato ben 16 colonne sonore. Parliamo sempre con grande franchezza, le sue proposte sono sempre cosi? forti. Mi propone 5 o 6 pezzi per poi sceglierne uno, co- sa sempre difficile. Avverto quanto si sposa perfettamente la musi- ca con l’immagine, ma questo e? dovuto al suo talento. Credo di ca- pire quale lui ama di piu? da come la suona, da quella che suona con piu? passione. Alcune cose fatte insieme sono diventate grandi nel mondo come per Sacco e Vanzetti la ballata nata dalla collaborazione tra Ennio Morricone e Joan Beaz”.
Lei ha diretto quasi tutti i piu? grandi attori italiani ed internazionali, se le faccio qualche nome potrebbe darmi un aggettivo per ognuno?
“Nino Manfredi: appassionato e pieno di fermenti. Philippe Noiret: la perfezione. Stefania Sandrelli: la generosita?. Valeria Golino: la simpatia e l’emozione. Gian Maria Volonte?: posso solo che alzarmi in piedi davanti a tanta bravura”.
Quale e? la salute del cinema italiano?
“Il cinema italiano ha la forza di voler sopravvivere sempre e la capacita? di rimettersi sempre in gioco. Adesso non funziona piu? il cinepanettone, vorra? dire che si fa un piatto di pasticcini, tanti bei filmetti e subito e? venuta fuori un’altra formula. Il film che facevano i soldi aiutavano i film di Fellini, Antognoni o De Sica e di tanti esordi nostri. Si potrebbe fare un Festival delle vittime della qualita?, quelli che hanno avuto molte critiche ma molto pubblico ed hanno permesso a noi di esordire, se non c’erano loro non c’eravamo noi”.
Il film che vorrebbe fare?
“Il film che avrei voluto fare e? sull’incendio del Reichstag, quando Hitler e la sua banda incendiarono il Reichstag dando la colpa a quelli di sinistra. Quella notte inaugurarono i Lager”.
E il film che fara??
“Adesso sono un po’ stanco, sono esattamente 62 anni che sono in prima linea. E poi non lo dico mai”.
*Dice di se?.
Donato Moscati. Semplicemente un cassiere di supermercato, curioso per natura, che riesce a stupirsi delle storie quotidiane che passano davanti… per questo decide di raccontarle.