In un momento di incertezze e difficoltà per la cultura e in particolare per tutti gli scambi culturali, la Triennale di Milano e la Fondation Cartier di Parigi hanno voluto dare un segnale di prospettiva a lungo termine avviando una collaborazione per i prossimi 8 anni. L’accordo, annunciato all’ambasciata di Francia a Roma, partirà fra un mese con la mostra dedicata alla fotografa brasiliana Claudia Andujar e al suo lavoro sugli indiani Yanomami, una popolazione dell’Amazzonia la cui sopravvivenza è a rischio. La mostra durerà fino al 7 febbraio dell’anno prossimo e si svolgerà in uno spazio al secondo piano del Palazzo della Triennale d’ora in poi dedicato alla collaborazione italo – francese.
Quella che parte è un’alleanza “inedita” fra un ente pubblico e uno privato, uno italiano e uno francese, che condividono, come ha spiegato l’ambasciatore Christian Masset, ” l’approccio multidisciplinare e l’attenzione all’evoluzione della nostra società e alla transizione ecologica”. Il presidente di Triennale Stefano Boeri ha messo l’accento sulla “scommessa” rappresentata dalla lunga durata dell’alleanza: “è un segno bellissimo – ha detto – partiamo dalla condivisione del lavoro che entrambi facciamo sul rapporto tra arte, cultura, società e scienza”. Già l’anno scorso, ha ricordato, in occasione della 22\ma Triennale dal titolo Broken Nature, la fondazione parigina aveva allestito una parte importante della mostra milanese, quella sull’Orchestra degli animali. “Insieme discuteremo della prossima edizione”, ha preannunciato Boeri pensando al 2022. “Vogliamo che la Fondation Cartier sia più conosciuta in Italia – ha aggiunto il direttore generale Hervé Chandès – dopo tanti anni di lavoro con i designer di questo paese come Alessandro Mendini, che abbiamo portato a Parigi e Shanghai, o Enzo Mari. È importante appoggiarsi a qualcosa di solido in un’epoca così incerta e movimentata. La condivisione di gusto e visione ci permetterà di avanzare in questo mondo improvvisamente sconosciuto”. L’obiettivo è creare una forma di scambio, ha aggiunto, quindi non a senso unico e anche orientato all’esterno, in molteplici direzioni “geoculturali”.