«Un anticorpo monoclonare potrebbe salvarci in attesa del vaccino»
«Un anticorpo monoclonale potrebbe salvarci dal coronavirus, in attesa del vaccino». A dirlo, è il luminare reggino Franco Romeo, direttore della cattedra di Cardiologia del Policlinico “Tor Vergata” di Roma, che fa parte della task force a supporto dell’unità di crisi regionale per la gestione dell’emergenza sanitaria. «C’è una grande speranza che proviene da una ricerca prestigiosa Università statunitense di Harvard, che riguarda, appunto, la creazione di un anticorpo monoclonale in grado di bloccare tutte le varianti genetiche di questo virus che sono almeno tre attraverso – spiega il prof. Romeo – un’azione diretta sullo stesso e non sulla produzione di anticorpi, come succede nel vaccino. Alla luce del fatto che sembra essere un virus destinato a cambiare e che, quindi a novembre, potrebbe essere diverso, diviene importantissimo bloccarne la struttura comune e tutti i siti di mutazione».
In questo studio l’Italia potrebbe avere una sua voce?
«Sì, è questo è un motivo di orgoglio. La ricerca è in fase avanzata di sperimentazione sull’uomo e speriamo che una struttura scientifica molto vicina a noi venga coinvolta in questo fondamentale percorso. Si tratta di un gruppo di lavoro col quale abbiamo realizzato e condiviso ricerche molto importanti».
E la fase-2 è già dietro l’angolo.
«È un’Italia ancora a doppia velocità. Il Sud, per fortuna, sostanzialmente salvaguardato; il Nord continua a registrare numeri elevati di contagi e di morti. Di positivo, comunque, anche in queste regioni, c’è la diminuzione della necessità di assistenza intensiva ma anche, e lo dico, per esperienza personale, soprattutto, la tipologia di questi pazienti è meno grave di quella che registravamo 15 giorni fa. I due aspetti – spiega il prof. Romeo – sono correlati: il fatto che vadano diminuendo le richieste di posti in Rianimazione, ci permette di trattare in modo intensivo pazienti in fase più precoce e in condizioni meno critiche, riducendo così la possibilità che vengano intubati».
Novità sul fronte scientifico?
«Ormai è evidente che siamo di fronte ad una malattia non più esclusivamente polmonare. È vero che l’apparato respiratorio resta la principale porta d’ingresso del virus, ma il coinvolgimento cardiaco è sempre più sostanziale in chi soffre di questo tipo di problematiche, con una percentuale che varia tra il 10 e il 20 percento. Infatti – aggiunge il prof. Romeo – il recettore target è l’”Ace 2” e si trova nel polmone, nelle cellule cardiache e nelle cellule endoteliali vascolari».
Vuol dire che i meccanismi che possono dare un danno cardiaco sono diversi?
«Proprio così. Il primo meccanismo è determinato dal fatto che quando il virus interessa un polmone, si scatena una reazione infiammatori che può danneggiare molti organi, tra cui il cuore. Il secondo meccanismo più grave, indipendente dall’interessamento respiratorio anche minimo, è il danno diretto sul cuore, sulle sue funzioni e sul ritmo cardiaco. Inoltre, la malattia a causa della riduzione di ossigenazione, determina un grosso stress per il cuore con possibile sindrome ischemica acuta e ancora la destabilizzazione della placca aterosclerotica già presente nelle coronarie, per l’alto livello di citochine infiammatorie, può portare a un’ulcerazione della stessa placca e successiva trombosi del vaso. Infine, il danno endoteliale vascolare diffuso può creare problemi di trombosi generalizzata ed è proprio questo il razionale per l’uso della eparina, di cui tanto si sta parlando. In questo caso, è importante monitorare l’attivazione di processi trombotici per utilizzare in modo precoce l’eparina».
E sul fronte dei farmaci?
«Non c’è un trattamento codificato per questo virus, ma una gamma di farmaci di supporto, pur con i dovuti accorgimenti: antivirali e antinfiammatori, tra cui il “Tocilizumab”, solitamente usato per l’artrite reumatoide, che ha avuto un buon riscontro in Calabria. Va detto – precisa Romeo -, che i tentativi messi in atto danno effetti positivi. Inoltre, questo periodo ci ha permesso di capire di più come il fatto che chi utilizza farmaci ace-inibitore come antipertensivo deve continuare a farlo per proteggere il cuore, diversamente da come si era pensato in un primo momento. In Calabria, si sta molto usando il trattamento in associazione tra azitromicina e idrossiclorochina e qui l’unica raccomandazione è monitorare alcuni parametri per prevenire eventuali aritmie e conseguenze collaterali».
Nella fase due, la nostra regione resterà ancora chiusa
«Concordo la scelta del Presidente Santelli. Sicuramente, le misure adottate sono state vincenti in una terra come la nostra, dove la densità della popolazione è di circa 120 abitanti per chilometro quadro contro una densità circa di 440 abitanti delle regioni del Nord che hanno pagato un prezzo altissimo al coronavirus. Un dato, tra l’altro, decisamente ampliato dal giro intenso e continuo di rapporti, relazioni sociali e di affari, anche a livello internazionale delle realtà del nord. In ogni caso – conclude Romeo – in vista della riapertura, sarebbe auspicabile che si raggiunga un livello di civiltà tale per cui tutti, al di la del rispetto delle leggi, indossino, proprio come stile di vita, le mascherine e adottino i presidi di igiene pubblica necessari».
Cristina Cortese, Gazzetta del Sud