Intervista al vicepresidente del massimo organismo continentale: “Non è da escludere una formula diversa per assegnare Champions League ed Europa League. I play-off per lo scudetto? Decidono le singole federazioni, quattro Paesi hanno modificato i loro format”. E sul fair-play finanziario: “I vincoli restano, ma possono slittare alcuni termini”
Michele Uva, vicepresidente Uefa, cosa deve fare il mondo dello sport in questo momento?
“Sensibilizzare l’opinione pubblica al rispetto delle regole di comportamento fissate dai singoli Stati. Lo sport è trasversale e politicamente neutro, parla a tutti. Per questo è prezioso: lancia un messaggio che va oltre ogni polemica. Per il resto, molto di più non può fare. È tutto fermo ed è giusto che lo sia”.
Nelle scorse settimane abbiamo visto calciatori lasciare l’Italia con voli privati, prima della fine del periodo di quarantena.
“Sono pochissimi casi, che andrebbero indagati singolarmente. Il calcio professionistico in Italia ha migliaia di tesserati e ha dato una risposta adeguata alla crisi del coronavirus. Le donazioni e le raccolte fondi, da parte dei club o di singoli giocatori, lo dimostrano. Pur essendo un mondo dorato, ha saputo adeguarsi a un momento difficile”.
Le sembra normale che in Italia, dove per medici e infermieri mancano i tamponi per rilevare il coronavirus, così tanti sportivi senza alcun sintomo siano stati sottoposti a test?
“Dico la verità: sono rimasto stupito anche io. Ma non mi sento di dare un giudizio su quanto è accaduto, non conosco nel dettaglio le singole situazioni”.
Lewis Hamilton ha detto che non si sottoporrà a tampone fin quando non sarà disponibile per tutto il personale sanitario britannico.
“Una risposta da campione. Hamilton è la punta di diamante di un’organizzazione di un centinaio di persone. Il grande sportivo è abituato a ragionale al plurale. E di questo c’è bisogno nel mondo, a ogni livello, anche fuori dallo sport”.
Cosa cambierà nel mondo dello sport, e del calcio in particolare, dopo questa crisi?
“Penso ci sarà una grande voglia di normalità, e lo sport potrà essere un volano per riconquistarla. Potrà aiutare quel naturale rimbalzo del sentimento generale che si verifica dopo ogni crisi”.
Pensa che avremo paura a tornare ad accalcarci a migliaia negli stadi?
“La paura della folla potrebbe durare più del divieto a radunarsi. Mi piace però pensare che si potrà tornare a godere della dimensione collettiva del calcio. Ogni anno i cinque campionati più importanti portano nelle arene oltre 100 milioni di persone, comprese le coppe. È un patrimonio di socialità che va recuperato”.
Se fosse l’unico modo per riprendere a giocare entro l’estate, sarebbe favorevole alle gare a porte chiuse?
“In una logica di graduale ripresa del gioco, potrebbe essercene bisogno. Ma ricordiamoci che in Europa ci sono 55 diverse federazioni calcistiche e altrettanti governi nazionali. Sulla presenza del pubblico, ogni Paese si regola a modo suo. Noi al massimo potremo dare un indirizzo generale, non vincolante”.
In molti hanno criticato l’intempestività della Uefa nel dichiarare lo stop a Champions ed Europa League. Com’è possibile che l’11 marzo ad Anfield Road oltre 50mila persone abbiano assistito a Liverpool-Atletico Madrid?
“Ripeto, l’Uefa non può decidere nulla sulla presenza o meno del pubblico. Avremmo solo potuto annullare il match, ma al tempo non era un’ipotesi realistica, visto che in Inghelterra e in Spagna le partite di campionato si giocavano regolarmente”.
Franco Vanni, Repubblica.it