Molte note biografiche, assai succinte, relative a Salvatore Samperi riportano la data di nascita sbagliata: 26 luglio 1944. Samperi è nato infatti a Padova il 26 luglio, ma del 1943, ed è scomparso dieci anni fa esatti, alla prematura età di 66 anni, non 67, il 5 marzo del 2009. E non a Roma, come daccapo per sbaglio riportano le suddette, frettolose schede che lo riguardano, ma a Viterbo. Se questo duplice errore si è protratto per così tanto tempo è perché di Samperi è importato e importa ancora assai poco. A dirimere la questione, come, per una curiosa coincidenza, avviene nel piccolo giallo che ruota attorno alle tare familiari incestuose e rapaci del bellissimo Uccidete il vitello grasso e arrostitelo , è toccato al benemerito ufficio dell’anagrafe patavino. Di quest’uomo schivo e dal carattere difficile si è finito per cancellare quasi tutto con un colpo di spugna, derubricandolo, nella migliore delle ipotesi, a “promessa mancata” del cinema italiano. Per capire i suoi film occorrerebbe invece ripartire dall’ambiente agiato in cui crebbe e maturò, molto giovane, la passione per il cinema accanto a quella politica. E tener presente che non volle proseguire gli studi universitari nella sua città natale – prima in legge, come avrebbe preferito il padre, poi in lettere e filosofia per militare molto giovane nel Movimento studentesco. A 19 anni lasciò Padova e si trasferì a Roma, vincendo il concorso al Centro sperimentale di cinematografia, dove restò per un anno e mezzo. E, grazie all’interessamento dell’avvocato e giurista Giorgio Moscon, anch’egli padovano e molto attivo in ambito cinematografico, fu assistente volontario in tre film di Marco Ferreri, «l’unica persona dei “vecchi” del cinema» disse Samperi «che mi ha dato una mano». Tra questi, Marcia nuziale, il solo in cui si vide accreditare nei titoli di coda come segretario di edizione. Esordì nel lungometraggio a soli 25 anni, conteggiando per bene, con Grazie zia, in pieno 1968, nel solco dell’ormai paradigmatico I pugni in tasca di Marco Bellocchio. I due film condividevano innanzitutto il protagonista, Lou Castel, nonché il produttore Enzo Doria, il montatore Silvano Agosti e il compositore Ennio Morricone. A riprova di questa immediata simbiosi, nella colonna sonora del documentario su Bellocchio Stessa rabbia, stessa primavera Stefano Incerti inserisce Guerra e pace, pollo e brace, il brano musicale portante di Grazie zia, già utilizzato da Gideon Bachmann nel cortometraggio Fellinikon. L’impressionante esito commerciale di Grazie zia, a fronte del modesto budget, nasceva però, più che dalla forte intransigenza sul piano conflittuale e politico, da una carica erotica voyeuristicamente concentrata nel corpo e nel temperamento sfrontato dell’interprete femminile Lisa Gastoni, poi protagonista di Scandalo. Da subito Samperi si è richiamato a Luis Buñuel, Joseph Losey, Ken Russell, o, in Italia, ad Alberto Lattuada e al quasi coetaneo Bellocchio, più che a Tinto Brass, cui lo ha accomunato piuttosto l’origine veneta o l’erotismo come connotazione miope, e non lo stile, agli antipodi rispetto a quello dell’autore di Salon Kittty e La chiave . A Samperi interessava contrapporre alla tenuta del nucleo domestico borghese, quindi a un modello di cinema politico e militante convenzionale o di facciata, tutt’altra propensione: il disvelamento non del corpo quanto della fruizione cinematografica come forma di compiacimento morboso. Non per niente l’erotismo fungeva da corrispettivo, da filtro, da chiave interpretativa fissa della storia politica italiana. Da Cuore di mamma in poi non ha fatto quindi che confermare una vena disillusa, arrabbiata, inclemente verso tutto e tutti, borghesi in testa. Lungo il doppio binario che consentiva alla politica di alimentarsi di spunti erotici e viceversa, prendevano forma anche le parabole cattive di Uccidete il vitello grasso e arrostitelo, Un’anguilla da 300 milioni, Beati i ricchi. Lo strappo, che in realtà a un’attenta analisi non solo risulta coerente con il discorso di cui sopra, ma diventa una provocazione nella provocazione, arriva nel 1973. Con il film considerato il peccato non veniale ma originale: Malizia, che lo consacra al botteghino e lo rende a tempo indeterminato inviso a critici e studiosi, nonostante il talento tecnicamente ineccepibile dimostrato non solo nei successivi Scandalo, Nenè, Ernesto e Liquirizia, ma praticamente in tutti i suoi film dove inquadrature lunghe, composite e ariose saltano agli occhi. Fanno testo in particolare quelli che hanno avviato e messo a punto, nel corso degli anni 70, il sodalizio con l’indimenticabile Laura Antonelli, Malizia e a seguire Peccato veniale e Casta e pura, e i più indicizzati nei decenni successivi, da Fotografando Patrizia e La bonne fino agli innovativi esperimenti di sintesi tra fumetto e cinema dei due Sturmtruppen, e addirittura le fiction finali con Gabriel Garko o Malizia 2000, sventurato per via della drammatica vicenda, finita in tribunale, che aveva sfigurato la Antonelli. Lealtà, rispetto e stima impongono che si dica che Samperi è stato un grande autore nella buona e nella cattiva sorte, un virtuoso dei movimenti al servizio attivo di una vena dissacratoria inesauribile. Rivisti senza pregiudizi pruriginosi, i suoi film scoprono non solo centimetri di pelle nuda ma numerose maschere erotiche con cui egli stesso volle inchiodare ripetutamente il pubblico nazionale a istinti elementari e compulsivi. E alle devastanti conseguenze sul piano civile, familiare e umano di cui oggi è possibile cogliere i frutti (im)maturi.
Anton Giulio Mancino, Film tv
Filmografia voyeuristica a cura di Anton Giulio Mancino
GRAZIE ZIA [1968] con Lisa Gastoni, Lou Castel. La Gastoni contribuisce addirittura con qualche milione all’acquisto della pellicola, pur di aiutare il cineasta di talento alle prime armi. L’indignata Filastrocca vietnamita di Sergio Endrigo ne accentua l’impegno contro la guerra e l’indifferenza collettiva nei confronti della tragica disuguaglianza sociale del mondo.
CUORE DI MAMMA [1969] con Carla Gravina, Philippe Leroy. Scritto con Dacia Maraini, è il secondo film di Samperi, con Carla Gravina oggetto del desiderio della macchina da presa, ed è più crudele e politicizzato di Grazie zia. Per Fofi, nella postfazione alla sceneggiatura in volume: «È un rifiuto dell’impotenza e dell’abilità; è un invito a reagire proprio ai più invischiati».
UCCIDETE IL VITELLO GRASSO E ARROSTITELO [1970] con Jean Sorel, Marilù Tolo. È persino più speculare a I pugni in tasca di Grazie zia. L’impianto giallo ai limiti del noir, messo a punto ancora con la Maraini, fa da contraltare alla satira verso il suo bersaglio prediletto: l’improbabile, sciagurata compagine familiare borghese. Senza veli, stavolta, Marilù Tolo.
UN’ANGUILLA DA 300 MILIONI [1971] con Lino Toffolo, Ottavia Piccolo. Primo film di Toffolo con Samperi, che lo scrive a quattro mani con Aldo Lado. Divertente fino a un certo punto, considerato che l’impianto della satira anti-borghese vira all’improvviso verso il noir in dialetto veneto: lo specchio di genere e de-genere di un’Italia provinciale e “nera” in ogni senso.
BEATI I RICCHI [1972] con Paolo Villaggio, Lino Toffolo Sotto le mentite spoglie della commedia di costume, è un veicolo comico-politico inedito, straniante e incompreso, per la coppia Toffolo-Villaggio. Samperi lo scrive con Sandro Continenza e, ancora, Aldo Lado. Ivano Fossati canta il brano omonimo firmato da Luis Bacalov e dallo stesso Samperi.
MALIZIA [1973] con Laura Antonelli, Alessandro Momo Le radici siciliane giocano a favore di questo romanzo di formazione erotica tra i più imitati di sempre. Il primo film di Samperi con la Antonelli. Il buio che risolve l’amplesso finale la dice lunga sulla complessa visione del mondo di Samperi, con buona pace del genere. Fotografia di Vittorio Storaro.
SCANDALO [1976] con Lisa Gastoni, Franco Nero Samperi in trasferta parigina mostra quelle premesse di classe, cultura e dipendenza tra uomini e donne che rendono la guerra sempre più vicina una tragica conseguenza di un sistema malato. Franco Nero è il proletario, crudele con la farmacista borghese Lisa Gastoni. Fotografia di Vittorio Storaro.
NENÈ [1977] con Leonora Fani, Sven Valsecchi Dal romanzo di Cesare Lanza, un ritratto implacabile delle aspettative ingenue di cambiamento all’alba delle elezioni politiche dell’aprile 1948, coi comunisti che si illudono di festeggiare e i borghesi che prendono a cinghiate figli, mogli e nipoti in amore. Romanzo di formazione, al contrario. Fotografia di Pasqualino De Santis.