(di Alessandro Benetton) Tre anni fa sono diventato presidente di Edizione Holding, una realtà dal valore aggregato di 13 miliardi, attiva in molti settori: immobiliare, trasporti, ristorazione, infrastrutture digitali e tante altre che non sto qui ad elencarvi. Insomma, potete capire perché all’epoca l’ho definita la sfida più importante della mia vita. E, anche se la sfida non è ancora finita, di recente ho avuto modo di pensare al lavoro che io, con i miei cugini e il management, abbiamo fatto fino ad ora. Questo perché Harvard ha realizzato una case history su Edizione e le sue realtà. In pratica, un gruppo di docenti e ricercatori dell’università ha studiato per sei mesi la trasformazione dell’azienda, sia dal punto di vista del business che della cultura aziendale. L’obiettivo della ricerca era quello di mettere a fuoco un concetto che cerco di portare in ogni attività che intraprendo: la discontinuità. E ho pensato che, se Harvard è interessata, potreste esserlo anche voi. Parliamone. Il concetto è semplice: non importa di che settore si parli o quanto grande sia la tua azienda, arriva il momento in cui gli schemi e i paradigmi che hai seguito fino a quel momento non funzionano più. Quei momenti possono essere l’inizio di una crisi, ma anche l’occasione per creare una discontinuità, un cambio di paradigma.
Ma attenzione, questo non vuol dire radere al suolo tutto quello che si è costruito e ripartire da zero, ma piuttosto evolversi. Un po’ come il girino che diventa rana: perde la coda, crescono le zampe, le branchie diventano polmoni. Ma ogni cambiamento si fonda su quello precedente. Sembra un paradosso, ma in realtà sono tanti momenti di discontinuità che, insieme, possono dare vita a una metamorfosi coerente. Quando sono diventato presidente di Edizione, il gruppo era proprio in uno di quei momenti. Sia chiaro, l’azienda era solida, ma serviva un cambio di passo su molti aspetti. E non si trattava solo di numeri e strategie, ma di un cambiamento culturale che ci ha permesso di superare le difficoltà di partenza risolvendole. Un esempio di questo è Mundys, la capogruppo per la mobilità sostenibile e le infrastrutture. In quel caso, l’obiettivo era chiaro: ridefinire la mobilità del futuro. Per riuscirci, abbiamo avviato collaborazioni con università, acceleratori e startup, e li abbiamo integrati dentro realtà come Aeroporti di Roma. Perché abbiamo capito che solo lavorando fianco a fianco, ogni giorno, si può innovare davvero. Lo stesso vale per Avolta, nata dalla fusione di Autogrill con Dufry. Vogliamo rivoluzionare il modo di concepire il mondo del travel retail, offrendo esperienze più integrate e digitalizzate per i viaggiatori. E anche lì stiamo investendo concretamente per creare un sistema di incubazione e accelerazione di startup, portando l’innovazione direttamente dentro l’azienda. Sapere che Harvard ci voleva come caso di studio mi ha fatto riflettere. Quale lezione ne possiamo trarre? Sicuramente saranno gli studenti di Harvard a dircelo, ma per ora azzardo una risposta, affidandomi alle parole di Albert Einstein: “Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare sempre le stesse cose”.