
Jimmy Carter, 39° presidente degli Stati Uniti, si è spento ieri nella sua casa di Plains, in Georgia, all’età di 100 anni. Uomo di profonda fede e dedizione, Carter ha vissuto una vita all’insegna del servizio pubblico, della difesa dei diritti umani e della promozione della pace mondiale.
Presidente dal 1977 al 1981, Carter ha affrontato sfide significative sul piano interno e internazionale. Ha istituito il Dipartimento dell’Energia e quello dell’Istruzione, cercando di rispondere a crisi economiche e politiche, come la stagflazione e la crisi energetica del 1979. Tra i suoi successi più memorabili si annovera l’accordo di pace tra Egitto e Israele del 1978, siglato a Camp David, che gli valse il premio Nobel per la Pace nel 2002.
Nonostante il suo impegno, il mandato presidenziale fu segnato da difficoltà, come la crisi degli ostaggi in Iran, la guerra fredda riaccesa dall’invasione sovietica dell’Afghanistan e il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca del 1980. Dopo la sconfitta elettorale contro Ronald Reagan, Carter si è dedicato a una prolifica carriera da filantropo, fondando il Carter Center nel 1982. L’organizzazione ha promosso la democrazia, i diritti umani e la lotta alle malattie nei paesi in via di sviluppo.
Carter è stato una figura chiave per Habitat for Humanity e ha scritto oltre 30 libri, spaziando tra memorie, poesia e politica. Fino agli ultimi anni, ha continuato a lavorare per la pace e a difendere una soluzione a due Stati nel conflitto israelo-palestinese.
Gli Stati Uniti lo ricorderanno con una giornata di lutto nazionale il 9 gennaio 2025, come annunciato dal presidente Joe Biden. Jimmy Carter lascia un’eredità unica: un uomo cresciuto tra i campi di arachidi della Georgia che ha portato in politica i valori del duro lavoro, dell’umiltà e della fede. Una vita dedicata al miglioramento del mondo, culminata con un ultimo lungo addio accanto alla sua amata Rosalynn, scomparsa appena un mese fa.