“Abbiamo parlato a lungo di cavi sottomarini, una tecnologia destinata a essere sempre più strategica”. Con pochissime parole, il sottosegretario di Stato per l’Innovazione tecnologica, Alessio Butti, ha spiazzato la platea di giornalisti e addetti ai lavori presenti alla riunione ministeriale del G7 Tecnologia e digitale ospitato il 15 ottobre a Cernobbio. Ci si aspettava grande enfasi su quelli che potrebbero essere i prossimi passi nell’ambito dell’intelligenza artificiale, ma alla fine un tema cruciale e inaspettato è stato proprio quello dei cavi sottomarini, un’enorme rete composta di circa 529 sistemi che permette a tutti i Paesi del mondo di scambiarsi tra il 95 e il 99% dei dati internet.
Butti ha definito “strategica” questa infrastruttura poggiata sul fondo del mare, sottolineando che è necessario “renderla sicura”. Di cosa stiamo parlando e quali sono gli interessi in ballo? A livello tecnico, i singoli cavi sottomarini hanno un diametro di circa due centimetri, per una lunghezza complessiva di 1,4 milioni di chilometri. A causa della loro collocazione a migliaia di metri sotto il livello del mare, la manutenzione non è semplice e si corre il rischio che l’usura del tempo o fenomeni naturali come le scosse sismiche possano danneggiarli. La conseguenza sarebbe il blocco parziale delle comunicazioni che avvengono attraverso il web. I pericoli però possono avere anche origini umane ed è a loro che si riferisce Butti quando ribadisce il bisogno di rendere sicuri i cavi. Impossibile non pensare alle guerre regionali e non solo che, attraverso un attacco massiccio mirato alla rete sottomarina, potrebbero causare l’isolamento di interi Paesi, con ripercussioni sensibili anche a livello economico. Ma c’è dell’altro.
“Gli Stati non hanno investito abbastanza nella costruzione di questa infrastruttura, con il risultato di essere fortemente dipendenti da aziende private: sono queste ultime, infatti, a impiantare e gestire la maggior parte dei cavi”, spiega all’agenzia Dire Eleonora Poli, Head of Italian Office del Cep – Centres for European Policy Network. “Si comincia a pensare a quanto questo possa essere problematico, visti anche i conflitti in corso come quello tra Russia e Ucraina; la sicurezza dei cavi è quindi fondamentale per mantenere la sicurezza dei dati delle persone e dei Paesi, oltre che delle interazioni sociali ed economiche”.
Torniamo però ai possibili danni causati dall’essere umano. Un limite nella protezione dei cavi sta nell’attuale assenza di un’alleanza internazionale che possa far fronte all’eventuale interruzione del traffico dati internet causata da un attacco bellico. “Se ciò accadesse, probabilmente interverrebbero le aziende private”, fa notare Poli, “ma sarebbe necessaria una coalizione tra Stati per far fronte a un’emergenza di tale portata”.
L’alleanza in questione si sta pian piano costruendo, per lo meno in Occidente, e riguarda il blocco costituito da Unione europea e Stati Uniti. Per quanto permanga la competitività economica tra Bruxelles e Washington – una rivalità che l’eventuale rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca accentuerebbe – prevale un’unità di intenti nel confronto con altri attori dello scacchiere mondiale, la Cina su tutti. “Nella guerra commerciale tra Washington e Pechino, la questione dei cavi è emblematica”, sottolinea Poli. “Gli Stati Uniti hanno fatto in modo che la sua diretta rivale non potesse lavorare sulla collocazione dei cavi a cui erano interessati. Questo perché da una parte si temono sabotaggi e dall’altra si ha paura che possano essere rubati dei dati”.
La sicurezza dei dati è un tema cruciale, dato che le aziende che si occupano dell’impianto dei cavi sono per lo più private.
Due i nomi che giganteggiano, entrambi statunitensi: SubCom e Google, a cui si aggiunge Meta. L’Unione europea si trova quindi a dover affrontare due problemi intrecciati che riguardano il fatto di affidarsi ad aziende allo stesso tempo non statali e straniere. Poli lo definisce un “dilemma europeo”, che Bruxelles sta provando a risolvere in due modi. “Da un lato l’Unione europea sta regolamentando il mercato digitale in maniera molto stringente nel rispetto della privacy dei suoi cittadini. Sotto questo punto di vista, è l’entità politica più avanzata e anzi spesso viene criticata per la sua eccessiva rigidità, dato che il panorama digitale è in costante mutamento e si rischia di diventare obsoleti in brevissimo tempo. Dall’altro lato c’è il tentativo di creare iniziative per favorire un mercato più europeo, come nel caso del progetto via satellite Iris – Infrastructure for Resilience, Interconnectivity and Security”.
Un altro aspetto critico che rende l’Europa subalterna rispetto agli Stati Uniti è la capacità di innovare. Poli non ha dubbi: “Se non abbiamo aziende che innovano e che si rendono competitive nel mercato digitale, in futuro non conteremo più niente a livello globale. Il problema non è tanto Google che investe nel Mediterraneo, ma il fatto che non ci sia una Google europea. D’altra parte è questo che ha detto Mario Draghi nel suo rapporto: è necessario rilanciare la competitività dell’Unione, che al momento ha proprio nel digitale il suo lato più debole”.
E l’Italia? Butti ha parlato della centralità del nostro Paese, ma al di là della posizione nel Mediterraneo – area in cui transita il 16% del traffico dati internet globale – che ruolo può avere sullo scenario internazionale? “C’è un interesse italiano ed europeo crescente verso l’Africa, che è un mercato emergente e vicino a livello geografico in cui Bruxelles può sia investire sia creare sviluppo”, spiega ancora Poli. “Questo è l’unico modo che l’Unione ha per contrastare la Cina. Pechino investe, ma non ha alcun interesse a creare benessere locale, senza intervenire nelle dinamiche interne di governance; l’Europa invece chiede che ai suoi investimenti corrisponda un impegno dei singoli Stati africani sul fronte della democrazia e del rispetto dei diritti”.
L’Africa è uno snodo importante all’interno del Global Gateway, il progetto dell’Ue che attraverso i cavi sottomarini la collega all’Europa e ai Paesi che affacciano sull’oceano Atlantico. In un contesto del genere, dunque, secondo Poli, “l’Italia è davvero centrale e per una volta la posizione geografica ci aiuta”. La partita geopolitica ed economica è aperta più che mai.