(di Michele Focarete) Oggi Renato Vallanzasca, alias il Bel Renè, compie 74 anni. Cinquantadue dei quali trascorsi dietro le sbarre per scontare quattro ergastoli e 295 giorni di galera. Nessuna torta e nessuna visita se non i suoi legali, gli avvocati Corrado Limentani e Paolo Muzzi. Lui, attualmente detenuto nel carcere di Bollate, protagonista della mala milanese degli anni Settanta e Ottanta, forse non sa neppure di compiere gli anni, perché da un po’ di tempo a questa parte la testa non gli funziona più come prima, per una malattia neurologica, una “demenza cognitiva” che continua a progredire.
La sua vita da criminale ha riempito pagine intere di giornali e riviste. Su di lui si sono scritti libri e si è girato persino un film. Un bandito dannatamente bello, amato dalle donne e temuto dagli uomini. Un cliché che spesso ha offuscato il male che lo accompagnava nella sua carriera di fuorilegge spregiudicato, folle. Una esistenza intensa, intrisa di rapine, estorsioni, evasioni, rapimenti, omicidi. “Lo scorso anno – ricorda l’avvocato Limentani – proprio nel giorno del suo 73esimo compleanno, il Tribunale di Sorveglianza di Milano, decise che poteva tornare ad usufruire dei permessi premio. Fu un bel regalo”.
Ma proprio in questi giorni, i giudici hanno stabilito che Renato Vallanzasca deve starsene in carcere, non può più andare una volta alla settimana – durante il giorno e per alcune ore – nella comunità terapeutica che frequentava da qualche anno. “Per lui era fondamentale – continua Limentani – perché in quel luogo interagivano con Renato medici, ma anche persone normali, della comunità, che così lo sollecitavano. E si sa che per queste patologie, stare in mezzo alla gente può rallentare la malattia. Tra l’altro per lui non esiste più il problema della pericolosità“. Invece: “In quella struttura – questa la motivazione – non c’è l’assistenza necessaria per le sue condizioni fisiche e psichiche “.
E così il Bel Renè festeggia, si fa per dire, i suoi 74 anni in cella. “Dove esistono – si legge sempre nella motivazione – trattamenti consoni di tipo conservativo e farmacologico”.
Gli hanno fatto visita i suoi avvocati che naturalmente si sono opposti al provvedimento di togliere i permessi e la discussione avverrà nell’udienza del prossimo 19 giugno.
Ora Renato Vallanzasca è un galeotto malato, forse neppure in grado di capire dove si trova e di ricordare il male che ha fatto. Solo e senza un soldo se non una piccola pensione, resta ben poco di quel delinquente, capo della banda della Comasina, uno dei più potenti e feroci gruppi criminali di Milano, che si contrapponeva alla gang di Francis Turatello, detto Faccia d’Angelo. Sotto le pallottole della sua pistola sono morte parecchie persone e per i familiari delle vittime, Vallanzasca dovrebbe restare in galera tutta la vita: fine pena mai.
Mentre una lancia a suo favore la spezza Luigi Pagano, già direttore del carcere di San Vittore e Provveditore lombardo alla carceri. “Parlo da ex direttore di carcere da Pianosa a San Vittore e ho conosciuto anche Vallanzasca. Con tutto il massimo rispetto per le persone che hanno subito le sue azioni criminose e delle loro opinioni, ritengo che gli anni passati in carcere e le sue condizioni di salute legittimino la sua scarcerazione. Lo Stato ha già vinto nei suoi confronti. Umanità nell’esercizio della pena e consapevolezza che non rappresenti più un pericolo per la comunità, spingono a trovare una soluzione diversa dal carcere”.
Mentre Achille Serra, il poliziotto che per primo arrestò Renato Vallanzasca nel febbraio 1972, prima ancora che qualcuno lo consacrasse a supereroe del male, oltre al ricordo di quegli anni terribili gli piaceva dire: “Se incontrassi oggi Renato probabilmente gli chiederei chi gliel’ha fatto fare. Mezzo secolo di carcere. Ma chi te l’ha fatto fare?”.
Intanto i legali del Bel Renè sperano nella buona sentenza del 19 giugno. “Se andrà bene, Vallanzasca riprenderà i suoi incontri in comunità e magari nel 2025, quando compirà 75 anni, non sarà come oggi dietro le sbarre”.