Sono 183 i centri che conducono ricerche cliniche in oncologia in Italia e rappresentano un +23% rispetto a quelli censiti lo scorso anno. “La distribuzione sul territorio però non è omogenea, soprattutto per gli studi di fase 1. La maggioranza di queste strutture di ricerca è pubblica e la partecipazione agli studi da parte di personale accademico è significativa, così come quella agli studi dei gruppi cooperativi. Preoccupa, però, la forte riduzione degli studi accademici. Serve un cambio di passo per sostenere la ricerca accademica, anche perché, oggi in Italia, solo il 20% degli studi sulle nuove molecole contro il cancro è no profit”. La fotografia è scattata da Evaristo Maiello, presidente della Federation of Italian Cooperative Oncology Groups (FICOG) in occasione della seconda edizione dell’Annuario dei Centri di Ricerca Oncologica in Italia, promosso dalla FICOG e dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM). Il testo si compone di 400 pagine e contiene un vero e proprio censimento delle strutture che realizzano sperimentazioni sui tumori nel nostro Paese, presentato oggi al Ministero della Salute, per celebrare la Giornata Nazionale dei Gruppi Cooperativi per la Ricerca in Oncologia. “In Italia il 50% dei centri di ricerca censiti sono distribuiti al Nord (90), il resto al Centro (44 centri) e al Sud (49 centri). Circa un terzo delle strutture (36%, pari a 66 centri) svolge più di 20 sperimentazioni all’anno, il 12% oltre 60. La Lombardia fa da padrona sul numero di ricercatori- spiega Maiello- seguita da Piemonte, Veneto ed Emilia Romagna. Nelle regioni del nord c’è oltre il 40% dei centri attivi per la ricerca. Al sud troviamo come regioni di punta la Sicilia, la Puglia e la Campania, mentre al Centro il Lazio e la Toscana. La tipologia è a carico del pubblico per 7 centri su 10, che sono di tipo universitario/ospedaliero oppure Asl. Un quarto di questi sono IRCCS, ma e prevalentemente situati al Nord. Siamo lontani dall’avere una rete di centri che facciano studi di fase 1. Ci sono addirittura regioni senza un centro di ricerca. La capillarità che vorremmo è ancora lontana”. Un nodo irrisolto resta quello della mancanza di risorse e personale: “Il 68% (124 centri) è privo di un bioinformatico e il 49% (89) non può contare sul supporto statistico. Devono essere strutturate figure professionali indispensabili, come i coordinatori di ricerca clinica (data manager), gli infermieri di ricerca, i biostatistici, gli esperti in revisione di budget e contratti. E la digitalizzazione, che consente di velocizzare e semplificare i trial, è ancora scarsa: solo il 43% utilizza un sistema di elaborazione di dati e il 37% una cartella clinica elettronica”. Andando ad esaminare le strutture, Evaristo Maiello, ricorda che “l’80-90% dei centri ha una radiologia accreditata in sede, è dotato di un’anatomia patologica, di un laboratorio analisi accreditato, di un laboratorio di biologia molecolare in sede e dispone di un ufficio amministrativo dedicato. Va però evidenziata una netta riduzione dello spazio per la ricerca indipendente, come emerso anche dal Rapporto dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) sulle Sperimentazioni Cliniche. In un anno (2021-2022), nel nostro Paese, gli studi clinici non sponsorizzati dall’industria farmaceutica sono passati dal 22,6% al 15% del totale. Una diminuzione di oltre il 7% solo in 12 mesi, che rischia di impoverire fortemente il sistema della ricerca no profit in Italia, soprattutto in aree molto critiche come l’oncologia”. Nel 2023, in Italia, sono state stimate 395.000 nuove diagnosi di cancro. I tumori su cui si concentra il maggior numero di sperimentazioni sono quelli gastrointestinali, mammari, toracici, urologici e ginecologici. “In ambito europeo sono 680 gli studi con una percentuale incrementata dal 18 al 30% , continuiamo quindi ad attrarre come ricercatori. Ma su 264 studi approvati sulla ricerca- conclude Maiello- 38 erano studi indipendenti, di cui i 3/4 erano studi di fase 2 con un reclutamento superiore ai 2.400 pazienti. Un dato non positivo che ci preoccupa”.