Per le imprese abruzzesi è sempre più difficile accedere al credito bancario, e a soffrire di questa restrizione sono soprattutto le imprese più piccole. L’Abruzzo si trova più di altri territori a fare i conti con l’aumento del costo del denaro disposto dalla Banca centrale europea (+4,5%), con il risultato che nei primi sei mesi del 2023 i prestiti concessi alle imprese (tecnicamente gli “impieghi vivi”, ovvero finanziamenti e scoperti di conto corrente, che le banche concedono ai propri clienti al netto delle “sofferenze”, cioè i crediti non più esigibili) hanno subito un calo rispetto al secondo semestre del 2022 del 3,87% con un valore assoluto pari a 393 milioni. E ciò a fronte di una media nazionale inferiore, anche se pur sempre negativa, del 2,18%. È quanto emerge dallo studio messo a punto da Aldo Ronci, su dati di Bankitalia, per la Cna Abruzzo. I dettagli sono stati forniti, a Pescara da Ronci, dal direttore e vice-direttore Graziano Di Costanzo e Silvio Calice. Scomponendo il dato per dimensione delle imprese, si scopre che la flessione si distribuisce in modo disomogeneo a seconda della loro dimensione. Perché se quelle medio grandi vedono una contrazione del 3,61% (mentre in Italia la flessione è dell’1,76%), peggio va a quelle piccole, ovvero fino a 20 dipendenti: per loro il dato segna -4,79%, anche in questo caso peggio della media nazionale (-4,30%). Dunque, l’Abruzzo è terra dove il cosiddetto credit crunch, ovvero la flessione dei prestiti alle imprese, trova terreno più fertile che altrove. Come conferma un altro dato: se in Italia il rapporto medio di finanziamenti concessi per singola impresa è mediamente di 134.696 euro, in Abruzzo la quota scende a circa la metà: 77.619. I dati per provincia, dicono poi che nel mondo delle imprese più piccole è il Pescarese a pagare dazio più di tutti, con 34 milioni in meno pari a -4,39%; lo stesso territorio, tuttavia, registra un dato positivo nel settore delle costruzioni, che vivono un significativo incremento (+38 milioni; +4,39%). Sul fronte delle grandi imprese – anche in ragione della natura del sistema produttivo locale – è invece la provincia di Chieti a patire la caduta più significativa, con 153 milioni in meno e -5.79%. Il vento cattivo che spira travolge anche una certezza sin qui granitica: il risparmio delle famiglie. A fine giugno, sono stati infatti 806 i milioni versati in meno dalle “famiglie consumatrici” rispetto al secondo semestre del 2022, con una flessione del 3,48%. In questo caso, però, nel resto d’Italia va anche peggio, visto che la media nazionale è del -4,34%.