(di Tiziano Rapanà) E mo’ questo chi è? Jon Fosse, scrittore-poeta-drammaturgo, ha vinto il Premio Nobel per la letteratura. Non lo conosco, mai sentito. E non sono l’unico. Lo straordinario umorista, e raffinato giornalista di ItaliaOggi, Gianni Macheda ha commentato: “E anche quest’anno il Nobel per la letteratura lo conosco il prossimo”. Suggerimento non richiesto per i signori dell’accademia di Stoccolma (o, come direbbe Totò, “Questo-colma”): l’anno prossimo date il premio a Fulvio Abbate. Scrittore, patafisico, charmant dalla nascita, inventore di quella genialata chiamata Teledurruti, è lui il nome giusto. Vi prego fermiamoci con i nomi che inducono alla depressione, la letteratura deve portare la gioia di sprofondare nel paradosso. E basta con questi significati, Roland Barthes è venuto al mondo per niente? Il clima in cultura non cambia mai, è sempre quello. E non c’è un mezzo trattatello contro questo clima, giusto Abbate ha scritto un pamphlet sull’amichettismo che è un termine da lui coniato per segnalare quella consorterìa di scrittori-gente di cultura-amici che eternamente si dimostrano eterno affetto; nel recensire i libri a vicenda e segnalarsi in tremila occasioni pubbliche. Scrive bene Renato Rutigliano, del duo comico i Sadici Piangenti, in un brano per Peppino Di Capri: “Quanno duje se vonno bene, nun esiste mai nu dimane”. La benevolenza è perpetua, inscalfibile, mai nessuno la potrà mai distruggere (salvo cambi di casacca). Fulvio Abbate ha preferito la libertà e ha rifiutato tutte le tessere esistenziali. Suvvia facciamo questo passo, usciamo dalle facili soluzioni. Non posso permettermi di perdermi in un sogno ad occhi aperti, non faccio parte della band The Lovin’ Spoonful. Per una volta, sarebbe il caso di costruire una realtà diversa.