Ed è subito lui. Senza filtri e paletti. Quarant’anni tondi, tondi. Nato a Cicciano, nel Napoletano, cresciuto a Como con sempre e solo un sogno, la moda. È il nuovo direttore creativo di Gucci e oggi alle 15, al Gucci hub di via Mecenate a Milano, presenterà il suo primo show.
Dunque era questo il momento giusto?
«Non so se ci sia un momento giusto per una cosa così. Ero molto felice anche prima, per 14 anni in Valentino mi sono sentito a casa, con Pierpaolo (Piccioli, ndr.) abbiamo pianto insieme. Io piango spesso. Mi emoziono e non me ne vergogno».
E chi è Sabato?
«Sempre lo stesso. La gente studia le mie scelte pensando a chissà quale strategia ci sia dietro. Macché».
Cominciamo dal nome.
«Da bambino mi prendevano tutti in giro, persino le maestre, ora lo amo e ne sono fiero perché è quello di mio nonno e mio padre adesso è orgoglioso di vederlo scritto sui giornali. E poi mi toglie sempre dall’imbarazzo: in qualsiasi situazione serve a rompere il ghiaccio perché tutti vogliono sapere perché mi chiamo cosi!».
Un giorno la chiamano da Gucci…
«Era un talent scout di Kering. Ero a New York e non c’era nessuna notizia su Alessandro (Michele, ndr.), che aveva appena sfilato con la collezione indossata dai modelli -gemelli. Sapevano tutto di me e io pensavo mi cercassero per un marchio nuovo. Torno, vado a dormire per il jet lag, e il mattino dopo trovo sia la notizia di Michele che la comunicazione che ero in lista per il suo posto. È cominciata tutta la trafila e non ho più dormito. Di notte sogno tanto e quando mi sveglio mi sembra tutto vero».
Hanno scelto lei: perché?
«Quando ho firmato, ho dormito col contratto sotto il cuscino: ogni tanto allungavo la mano per toccare la carta. E dicevo: è tutto vero, perché non ci credi? Non ho mai pensato di fare il direttore creativo, sono uno da squadra. Arrivo da un paesino e da una famiglia lontanissima dalla moda. Mia madre Maria non è mai entrata in un negozio di lusso e la sua preoccupazione in questi giorni è cosa indossare allo show. Le ho detto di vestirsi come si sente, in sneaker e t-shirt è sempre lei, con i suoi valori, ed è la persona più importante al mondo. Voglio che siano il suo volto e il suo sguardo quelli che vedrò per primi quando uscirò in passerella».
Sarà sempre più difficile essere Sabato, da oggi.
«Vivo di moda: toccare i tessuti è una delle cose più belle al mondo. Ma mi piace anche Sabato e voglio restare quello che sono, libero. Tutti parlano di libertà però alla fine ti dicono cosa devi fare, dove devi andare, chi frequentare. Queste liste non mi piacciono. Voglio restare il ragazzo che da Prada guardava da lontano la signora Miuccia. Grazie al mio lavoro sono entrato in mondi che non conoscevo, come quello dell’arte che ora è la mia passione».
La libertà di dire quello che pensa: lo ha messo bene in chiaro in azienda?
«Non ce n’è stato bisogno. Credevo che in Gucci sarei stato uno degli ingranaggi di una macchina guidata da altri. E invece non è così. In sfilata ci sarà tutto quello che piace a me. Ho incontrato Francesca Bellettini (il super ceo di Kering, ndr.) e Jean-François Palus (il ceo di Gucci) e sono state conversazioni bellissime. Ti senti che fai moda e che sei libero».
I primi giorni in Gucci?
«Tre giorni chiuso negli archivi, a Firenze. Dovevo toccare, volevo rivedere la prima Jackie, in assoluto tra le cose più belle della moda. Ho scoperto le stampe, da dove vengono gli animali, gli acquarelli, i disegni. Gucci ha 100 anni, ha fatto tanto ma è stato poco raccontato, non esistono libri a parte il testo uscito nel periodo di Frida Giannini, ma molto prodotto. Ora ho la libertà di toccare quelle cose, usarle, rifarle e utilizzarle secondo la mia estetica. Dall’archivio ho preso più cose, le borse Jackie e Bambù e la campagna che ho fatto con Daria (Werbowy, ndr): i gioielli vengono da una collana d’archivio. Ho trovato un’azienda che vuole vedermi su di un piedistallo, ma io non ci so stare. Non voglio parlare solo al direttore della collezione, ma anche con i ragazzi e le ragazze dell’ufficio. Preferisco cenare con mio marito a casa dei miei amici Davide e Ilaria piuttosto che con Julia Roberts».
E suo marito sarà pronto?
«Stiamo insieme da 11 anni, siamo sposati da 4, investiamo nel rapporto. Vorrei che le mie scelte e le persone che sono intorno a me parlassero del mondo che mi piace. Credo nella famiglia e nella diversità: ho vissuto sulla mia pelle cosa significa non essere accettato. Non devo spiegare quanto sono importanti per me le donne perché fanno parte del mio lavoro, sono le mie amiche, sono con me».
Si è mai imbucato a una sfilata, da ragazzo?
«Mai e non ho neppure mai visto una sfilata da seduto, sempre nel back stage. Le mie prime sfilate però le ho viste in tv: Gianni Versace per me era il simbolo di tutto. Ero piccolo, stavo scoprendo la mia sessualità e vedevo lui che era il designer per eccellenza e con la sua famiglia veniva dal Sud… Quando sono cresciuto ho puntato a Milano, è l’unico posto in cui mi sono sentito me stesso, qui ho costruito la mia vita. È una città a cui devo tanto e adesso voglio ridarle qualcosa».
Paura?
«In generale non è un sentimento che provo. Di certo so che piangerò».
Paola Pollo, corriere.it