
Circa 123 euro a tonnellata nel 2030. È il costo medio, rispetto a un minimo di 93 euro e un massimo di 174, a seconda dell’industria, della cattura e stoccaggio della CO2. Un costo che si ridurrà grazie alle economie di scala e scenderà sotto i cento euro nel 2040, rendendo la Ccs (Carbon capture and storage) sempre più competitiva rispetto al prezzo dei diritti a emettere (il sistema Ets), considerato che le quote assegnate gratuitamente da Bruxelles agli energivori dal 2026 saranno progressivamente eliminate. E se in questi giorni il prezzo di una tonnellata di CO2 sul mercato è di circa 87 euro, è previsto salire tra i 110 e i 150 euro nel 2030 e tra i 150 e i 200 euro nel 2050.
Il ceo di Snam Stefano Venier spiega finalità e strategie dell’impianto al largo della Pianura Padana, dove si concentra il grosso delle industrie energivore. «Un’occasione anche per le aziende straniere». Guido Brusco (Eni): «La capacità nei giacimenti esauriti ha un potenziale di 500 milioni di tonnellate»
Questi numeri sono contenuti nello studio «Zero Carbon Technology Roadmap — Carbon Capture and Storage: una leva strategica per la decarbonizzazione e la competitività industriale», condotto da The European House – Ambrosetti per conto di Eni e Snam e presentato a Cernobbio, che dimostrano come questa tecnologia di decarbonizzazione, già matura e disponibile, sarà conveniente e permetterà di salvaguardare la competitività dei settori hard to abate, che complessivamente generano quasi 95 miliardi di valore aggiunto diretto e indotto, pari a circa il 5% del Pil.
La rete multi-molecola
L’Italia, con Eni e Snam, si candida a diventare l’hub della Ccs per il Sud Europa e a «seppellire» non soltanto le emissioni delle nostre aziende, ma anche quelle di altri Paesi. Le potenzialità ci sono, spiega il ceo di Snam Stefano Venier (nella foto): «Abbiamo il vantaggio di disporre di giacimenti esauriti di gas al largo dell’Adriatico di fronte alla Pianura Padana, dove si concentra la maggior parte delle industrie ad alta intensità di energia e di emissioni. Un vantaggio che potrà andare a beneficio dell’intero bacino del Mediterraneo, per esempio delle industrie francesi, per cui sarà più conveniente stoccare la CO2 a Ravenna e non trasportarla fino in Norvegia». Sul trasporto Snam ha una strategia di soft infrastructure, nel senso che — spiega Venier — «miriamo a utilizzare parte delle condotte già esistenti in una logica di operatore multi-molecola: nei nostri tubi può scorrere gas naturale, ma anche biometano, idrogeno e, appunto, anidride carbonica».
La joint-venture
La si potrebbe vedere come una sorta di circolarità: il gas estratto per produrre energia elettrica ha generato emissioni di CO2, che viene catturata e portata proprio dove il metano ha lasciato un vuoto. A dicembre 2022 Eni e Snam hanno annunciato una joint venture per il progetto di Ccs a Ravenna, dove — dettaglia Guido Brusco, direttore generale Natural Resources di Eni — «la capacità nei giacimenti esauriti, che sono sicuri perché hanno contenuto fluidi per milioni di anni, ha un potenziale di 500 milioni di tonnellate».
La Ccs
La Ccs è una tecnologia che in Europa è già utilizzata a livello operativo in tre luoghi: Sleipner e Snohvit in Norvegia e Orca in Islanda. Ravenna sarà uno dei prossimi e quindi tra i primi a livello europeo. «L’avvio della prima fase — spiega Luigi Ciarrocchi, direttore Ccus, Forestry & Agro-Feedstock di Eni — è previsto entro i primi mesi del 2024, con un tempo di realizzazione di poco più di un anno dalla decisione di investimento. L’obiettivo è quello di catturare e stoccare 25 mila tonnellate all’anno di CO2 dalla Centrale di trattamento gas di Casalborsetti di Eni. Con la fase 2, prevista entro il 2026, la capacità di stoccaggio raggiungerà quattro milioni di tonnellate all’anno al 2030 e aumenterà fino a 16 milioni, con possibilità di ulteriori espansioni».
Il potenziale
Ma il potenziale italiano arriva a 750 milioni di tonnellate, come emerge dalla proposta di aggiornamento del Pniec (Piano integrato energia e clima) che il ministero dell’Ambiente ha presentato a Bruxelles. Capacità che servirà, visto che in base allo studio di Ambrosetti le emissioni nette hard to abate ammontano a 32,8 milioni di tonnellate all’anno (sono 63,7 milioni le tonnellate complessive, ma di queste circa 32 possono essere decarbonizzate con altre tecnologie come l’elettrificazione) e sono quindi il doppio rispetto al potenziale annuo del sito di Ravenna quando sarà a regime e potrà accogliere le emissioni di settori energivori come ceramica, vetrerie, termovalorizzatori e cementifici. «La Ccs — spiega Piero Ercoli, senior vice president Decarbonisation Project Snam — è una tecnologia particolarmente adatta per l’industria del cemento, un processo che per essere svolto implica l’emissione di CO2». E per quanto riguarda la competitività, aggiunge Ercoli, «va considerato che maggiore è la concentrazione di CO2 e minore è il costo della cattura, che è la fase più costosa rispetto al trasporto e allo stoccaggio».
La carbon tax
Il Cane a sei zampe ha calcolato che mediamente il costo tecnico di tutte e tre le fasi della filiera della Ccs di Ravenna e dei progetti che ha in corso nel Regno Unito è meno di 80 euro a tonnellata. «Siamo ben al di sotto della carbon tax — fa notare Brusco — senza considerare gli incentivi o i contratti per differenza che i governi vorranno prevedere». La Ccs rappresenta una delle leve della strategia di Eni verso la neutralità carbonica e il gruppo guidato da Claudio Descalzi punta a riconvertire parte delle infrastrutture e dei giacimenti produttivi in hub di stoccaggio (nel mondo ha stimato un potenziale di tre miliardi di tonnellate di capacità nel 2030) per decarbonizzare le sue attività e quelle di terzi.
Eni, il ruolo di orchestrator
Dice Brusco: «Attualmente ci stiamo concentrando sulle ultime due fasi, trasporto e stoccaggio, ma intendiamo avere un ruolo che definiamo di orchestrator lungo tutta la catena sfruttando la nostra tecnologia e quella dei nostri partner industriali, come Snam». Che cosa manca? «Un quadro regolatorio che garantisca un ritorno sull’investimento — conclude Venier — e la normativa tecnica per il trasporto, che auspico siano omogenei a livello europeo».
Fausta Chiesa, corriere.it