L’uso dell’intelligenza artificiale sta già cambiando il nostro mondo. Anche se, probabilmente, non ce ne siamo ancora accorti. Uno degli effetti più significativi dove questi nuovi strumenti sono già, silenziosamente, in azione è quello dell’informazione, dove ChatGpt e compagni sono già massicciamente impegnati. Per fare soldi. E senza troppi scrupoli.
Secondo un rapporto elaborato da NewsGuard insieme a Mit Technology Review, si stanno infatti diffondendo sempre di più chatbot per riempire i siti-spazzatura con testo generato dall’intelligenza artificiale. L’obiettivo è quello di generare contatti a basso costo per attirare gli inserzionisti paganti. Il meccanismo ha già raggiunto un valore globale annuo di 13 miliardi di dollari. Uno dei siti rilevati da questa ricerca era in grado di produrre, tramite l’IA più di 1.200 notizie al giorno. Ovviamente notizie in gran parte inaffidabili.
Ma il meccanismo funziona, nel senso che produce fatturato con costi di produzione tendenti a zero. Questo naturalmente grazie al sistema della cosiddetta pubblicità programmatica, cioè inserzioni distribuite (anche qui!) grazie a sofisticati algoritmi che tengono conto soprattutto del numero dei contatti raggiunti dal sito. Oggi il costo medio di un annuncio programmatico è circa 1,2 dollari per mille impressions; quindi, è evidente che per fatturare somme significative bisogna essere in grado di raggiungere milioni di persone. Ed è quello che fanno questi siti, grazie all’intelligenza artificiale, contribuendo ad aumentare la quantità d’informazione-spazzatura che si riversa nelle menti degli utenti di internet. Se già da qualche anno si è calcolato che il numero delle informazioni false presenti in rete è superiore a quello delle informazioni considerate veritiere, con c’è dubbio che l’IA stia contribuendo ad aumentare in modo esponenziale il livello di inquinamento presente nell’infosfera. Con gli effetti che si possono immaginare sulla tenuta dei sistemi democratici e perfino sulla salute e l’equilibrio mentale degli esseri umani. Solo per fare un esempio, un sito scritto con l’IA, MedicalOutline.com, mostrava articoli con titoli come “Il limone può curare l’allergia alla pelle?”. “Quali sono i 5 rimedi naturali per l’ADHD?” e “Come si può prevenire il cancro in modo naturale?”. Quale effetto possono avere queste informazioni sulle persone meno dotate di senso critico o più fragili dal punto di vista emozionale? Eppure, secondo la ricerca di NewsGuard, sul sito sono stati inseriti annunci pubblicitari di nove grandi marchi, tra cui la banca Citigroup, la casa automobilistica Subaru e l’azienda di benessere GNC.
Siccome anche nel campo dell’informazione vale la regola che “la moneta cattiva caccia quella buona”, perché costa meno e soprattutto perché la si può facilmente costruire per fare presa sull’emotività delle persone, non c’è dubbio che uno strumento come quello dell’IA è potenzialmente in grado di distruggere gran parte dell’editoria tradizionale che, pur con tutti i suoi difetti, risponde a criteri di eticità ben più solidi. Non solo perché i media tradizionali hanno nella credibilità il loro più importante asset, ma anche perché vivono con una spada di Damocle appesa sopra la testa: il rischio di querele e conseguenti richieste di risarcimento, per i danni provocati da eventuali errori (un problema che la grande maggioranza dei siti di informazione on line ancora non si pongono).
Ben vengano quindi le iniziative come l’IA act, che cercano di porre un minimo di ordine in un settore che è vitale per la sopravvivenza stessa della nostra società, che si trova ad affrontare una sfida drammatica, dagli esiti ancora imprevedibili.
Marino Longoni, ItaliaOggi Sette