«L’acqua!», le capita di dire un numero imprecisato di volte al giorno, a tutte le ore e tutti i giorni, giorni importanti come quelli in cui nei paraggi ci sono Joe Biden o Volodymyr Zelensky e giorni normali, anche se non può certo definirsi normale la routine di Palazzo Chigi vissuta da una stanza imperiale, ereditata dal capo di gabinetto di Mario Draghi, Antonio Funiciello. «L’acqua!», detto e forse anche pensato con la sacralità trionfante dell’Archimede che aveva urlato «Eureka!», «ho trovato!», nel momento dell’illuminazione che l’aveva portato a mettere a fuoco la spinta idrostatica dei corpi in galleggiamento, è la parola che le si insinua nei pensieri tutte le volte che, prima tra tutti, intuisce che l’accennato tentennare nella voce, nel giro di una decina di secondi, porterà Giorgia Meloni ad avere quei colpi di tosse che sono diventati un marchio di fabbrica nei discorsi della presidente del Consiglio.
In diciotto anni – da tanti vivono praticamente spalla a spalla la segretaria e la donna oggi più potente d’Italia, con la segretaria che a sua volta ha scalato la classifica delle persone più potenti d’Italia guadagnando gradini di maggior prestigio anche rispetto a un numero significativo di ministri della Repubblica – «Patrizia», per usare una felice sintesi di chi le frequenta entrambe, sa prima di Giorgia che Giorgia starà per tossire e si premurerà di farle trovare davanti un bicchiere d’acqua». Nel cuore pulsante della Repubblica si arriva anche così. E così ci è arrivata Patrizia Scurti.
Nessun dettaglio
Nella pagina del sito ufficiale del governo dedicata alla trasparenza, Scurti viene censita come “capo della segreteria particolare” della presidente del Consiglio dei ministri. E quello è infatti il suo inquadramento nella pianta organica di Palazzo Chigi. A differenza di altri componenti dello staff, non c’è un collegamento ipertestuale. Tradotto: se clicchi sul suo nome, non succede nulla.
Di Scurti non si conoscono data né luogo di nascita, non si sanno dettagli sulla sua formazione, se è laureata, diplomata e, se sì, presso quali istituti. Si sa che guadagna 180mila euro lordi l’anno, per la precisione 179.999, con quell’euro mancante che dev’essere tutt’altro che casuale. E che il suo stato di famiglia allargato, adesso, ritorna a più riprese nelle stanze del potere. Il marito è il capo scorta di Giorgia Meloni; la nipote, Camilla Trombetti, classe 1989, da consulente dell’Ufficio studi di Fratelli d’Italia è passata alla segreteria particolare del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, sempre a Palazzo Chigi, e comunque vadano le cose è attesa prima o poi all’appuntamento con un lavoro fisso al Senato, dove ha vinto un concorso per assistente parlamentare.
Padrona del tempo
Di Scurti, nella sua autobiografia diventata un best seller (Io sono Giorgia. Le mie radici, le mie idee , uscito per Rizzoli nel 2021), Meloni dice che «è la mia padrona», citando una frase «che dico spesso scherzando perché non c’è nulla nella mia vita che non passi da lei». A cominciare dalla gestione dell’agenda, quindi degli appuntamenti, che nel caso di una presidente del Consiglio possono avere un profilo molto privato, uno molto pubblico o entrambe le cose insieme. Come, per esempio, le quattro visite a Palazzo Chigi (il numero è stato fissato dai cronisti che quotidianamente fanno la spola tra la sede del governo e Palazzo Montecitorio, e che quindi hanno un osservatorio decisamente privilegiato) dell’attore e doppiatore Pino Insegno, pronto a un ritorno in grande stile nei palinsesti della Rai, che l’ultima volta ha motivato nel «caffè ché qua lo fanno buono» la ragione di fondo della suo ennesimo colloquio dal sapore istituzionale («Ho visto la presidente del Consiglio? Fatti miei»). A prescindere da Insegno, e dal fatto che abbia o meno incontrato una o più volte Meloni, quel genere di appuntamenti lo fissa soltanto Scurti. Che prima dell’approdo nella stanza dei bottoni di Palazzo Chigi, e quindi fino all’ottobre del 2022, “gestiva” il tempo Meloni anche nella sua sfera più personale.
Il destino
L’incontro tra le due è forzato dal destino e il destino in questo caso ha un nome e cognome: Gianfranco Fini. Quando il leader di Alleanza Nazionale decide di far eleggere l’allora leader dei giovani del partito, nel “pacchetto” c’è anche Scurti, che all’epoca lavorava nella segreteria finiana insieme a Rita Marino. «A Montecitorio, lei verrà con te», è il diktat del leader a Meloni. «Ma io non la conosco proprio!», risponde lei. Si troveranno d’amore e d’accordo, al punto da allora in poi dove andrà Giorgia con lei ci sarà Patrizia, in un cursus honorum fatto di saliscendi: vicepresidenza della Camera, ministero delle Politiche giovanili, leadership di Fratelli d’Italia e, alla fine, presidenza del Consiglio dei ministri. Scurti c’era quel giorno del 2012, quando nella stanza accanto Ignazio La Russa diceva a Meloni che «per salvare la destra italiana c’è bisogno di una donna e quella donna sei tu»; c’era anche quando Meloni incontrò Berlusconi per formalizzargli che se ne andavano dal Popolo delle Libertà per fondare Fratelli d’Italia, col secondo che non fece nulla per trattenerla; e c’era, con lei, dentro la Fiat 500 più inseguita dai giornalisti nel bimestre settembre-ottobre 2022, il giorno dell’ascesa al Quirinale per ricevere l’incarico di formare il governo dalle mani del Capo dello Stato.
Il silenzio e i sussurri
Di una riservatezza maniacale, ossessionata dal pensiero di trovare il suo nome tra quelli citati nella rassegna stampa del giorno, allergica ai ritratti che le hanno dedicato i giornalisti e ai totonomi dei giornali di cui era presenza fissa all’epoca della formazione dello staff di Palazzo Chigi, Scurti rimpiange ancora il giorno della drammatica conferenza stampa di Meloni a Cutro, quando il suo «Mario, ferma i giornalisti!» urlato al portavoce Mario Sechi era finito in quasi tutti i resoconti. Fuori dal perimetro di Fratelli d’Italia, soprattutto dagli ex di Alleanza Nazionale, la sua ascesa viene vissuta quasi con fastidio. Anche perché nessuno, forse, avrebbe mai scommesso un euro sulla clamorosa ascesa verso la stanza dei bottoni avviata da quell’anonima scrivania del partito a Via della Scrofa, che per la cronaca dista da Palazzo Chigi giusto qualche centinaio di metri. Di lei s’è detto che ogni suo sussurro all’orecchio della “Capa” conta, ha un peso, incide. Ma lei sussurra davvero? Uno di quegli esponenti di Fratelli d’Italia che conta di più nella geopolitica interna rileva a microfoni spenti che Scurti rispetto a Meloni «si muove col fare da chioccia, come se il suo unico obiettivo fosse proteggerla». È la barriera, insomma, su cui spesso i sogni di un faccia a faccia con Meloni rallentano, non si infrangono. «Anche perché Giorgia in molti casi continua rispondere al telefono, come prima di arrivare a Palazzo Chigi». Di nemici, magari a sua insaputa, ne sta collezionando parecchi, si sa che sono gli effetti collaterali di una postazione così delicata. Le persone amiche però ci sono, e questo basta. Tolta la presidente del Consiglio, due su tutti: Arianna Meloni, sorella di Giorgia, ed Alfredo Mantovano, potentissimo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. È la prima cerchia di potere, adesso. E Scurti è a guardia dell’ingresso.
Tommaso Labate, corriere.it