Siti pubblici accessibili per tutti? Una corsa a ostacoli

Share

Un anno fa il governo, in applicazione di una direttiva europea sui requisiti di accessibilità di prodotti e servizi (Accessibility act) approvava il decreto legislativo n. 82 del 27 maggio 2022 che impone, tra le altre cose, ai produttori di hardware e software (escluse le piccole imprese) di rendere i loro prodotti e servizi accessibili a tutti, comprese le persone con disabilità, gli anziani, le donne in gravidanza, le persone che viaggiano con bagaglio ecc. Queste disposizioni, che sembrano avere come presupposto il fatto che l’accessibilità a internet sia ormai un vero e proprio diritto, dovranno essere applicate dalle imprese private entro il 28 giugno 2025.

Per l’accessibilità dei servizi si prevede, ad esempio, per i siti web o i terminali elettronici che forniscono servizi al pubblico come i bancomat, i siti per prenotare viaggi l’obbligo di utilizzare caratteri facilmente leggibili, di fornire file elettronici leggibili da un computer mediante software di lettura dello schermo (per le persone non vedenti), di mettere a disposizione i sottotitoli qualora siano fornite istruzioni video o in alcuni casi di fornire la stampa in Braille. Previsto anche un sistema di vigilanza che farà capo al ministero per lo sviluppo economico e all’Agenzia per l’Italia digitale, i quali potranno chiedere l’adeguamento del prodotto o del servizio e, in caso di mancato adempimento, farlo ritirare dal mercato. Prevista anche la possibilità di irrogare sanzioni. Tutto ciò per beni e servizi prodotti dall’industria privata.

Per quelli della pubblica amministrazione, invece, la legge che dispone l’obbligo di rendere accessibili, user friendly come si dice, i siti che forniscono servizi pubblici è del 2004, anche se le linee guida che definiscono con precisione i requisiti tecnici sono state emanate solo l’anno scorso. La notizia è che, dal primo monitoraggio effettuato su 12 mila siti per verificare l’accessibilità dei siti pubblici è risultato che meno della metà dei siti è pienamente conforme. E non lo sono nemmeno il sito del governo e quello del Garante privacy. Oltretutto si tratta di dati ottenuti prevalentemente per mezzo di autodichiarazioni delle stesse amministrazioni interessate.

Facile quindi che tendano a sovrastimare la conformità, piuttosto che la non conformità (non chiedere all’oste com’è il suo vino). D’altra parte è un dato di esperienza comune quello della difficoltà a rintracciare dati o documenti sui siti pubblici, oppure scontrarsi con il blocco dell’operatività del sito magari proprio sotto scadenza, con la necessità di passare ore davanti al computer nell’attesa che la funzionalità del sito venga ripristinata. Internet è infatti riuscito a scaricare sulle spalle degli utenti operazioni che prima erano compiute da impiegati pubblici. Chiedere che i siti della p.a. siano facilmente accessibili a tutti e non solo ai draghetti del pc, è quindi il minimo sindacale. Ma a quanto pare, è una pretesa ancora non del tutto soddisfatta. Come dire, l’importante è dare il buon esempio.

Marino Longoni, ItaliaOggi Sette