Esistono già 141 mondi virtuali in cui centinaia di milioni di persone interagiscono con regole, funzionalità e modelli di business differenti e in cui le imprese stanno compiendo i primi investimenti. Ma a oggi non è possibile l’interconnessione tra tali mondi virtuali, quindi il metaverso, ossia un universo unico in cui gli utenti possono muoversi liberamente tra più mondi, ancora non esiste.
A decretarlo è lo studio condotto dall’Osservatorio Realtà aumentata e metaverso della School of management del Politecnico di Milano che ha censito 308 progetti internazionali, realizzati da 220 aziende a livello globale. Testimonianza che, comunque, le imprese stanno compiendo i primi investimenti in quanto credono nello sviluppo di questa dimensione.
«Di certo, il metaverso sarà la prossima grande rivoluzione dell’interazione online in spazi virtuali condivisi e interconnessi in cui gli utenti possono muoversi, condividere e interagire tramite la propria rappresentazione digitale», commenta Valeria Portale, direttore dell’Osservatorio, «ma il suo futuro è ancora tutto da scrivere. Solo alcuni dei mondi esistenti potranno diventare interoperabili e componibili. Di fatto, il metaverso ancora non esiste, anche se già centinaia di milioni di utenti hanno iniziato muoversi e comunicare in questi spazi virtuali. Sta alle aziende ora costruire esperienze virtuali stimolanti e offrire value proposition significative».
Cos’è il metaverso. Nel focus, gli analisti del PoliMi definiscono il metaverso come un ecosistema immersivo, persistente, interattivo e interoperabile, composto da mondi virtuali interconnessi tra loro in cui le persone possono socializzare, lavorare, effettuare transazioni, giocare e creare, accedendo tramite strumenti di realtà estesa.
In base a tale definizione, i mondi virtuali per costituire il metaverso devono possedere determinate caratteristiche, individuate dagli esperti nelle seguenti otto: persistente, accessibile da tutti, immersivo, modulabile, interoperabile, transazionale, consentire il possesso di asset e la rappresentazione tramite avatar.
I diversi mondi virtuali attualmente esistenti. In base a quanto emerge dagli esisti dell’analisi condotta dall’osservatorio, dei 141 mondi virtuali esistenti solo il 44% (pari a 62 piattaforme) è già “metaverse ready”, ossia è liberamente accessibile da chiunque, persistente, continua cioè a esistere in maniera indipendente dalla presenza o meno di un soggetto, economicamente attivo, dotato di grafica 3D, con componenti di interoperabilità che permetterebbero di utilizzare gli asset digitali su diverse piattaforme. Per esempio, rientrano in questa categoria piattaforme come Decentraland, The Sandbox o l’italiana The Nemesis.
Il 33% dei mondi è, invece, “open world”, ossia è uno spazio virtuale aperto, persistente, modulabile e immersivo, che raccoglie progetti appartenenti a ogni area di interesse, prestandosi sia a un utilizzo da parte delle imprese sia a finalità sociali, ma senza elementi in grado di supportare l’interoperabilità. Ne è un esempio Horizon Worlds, uno dei prodotti di punta di Meta (che se in futuro decidesse di integrare gli Nft, potrebbe rientrare nella categoria Metaverse Ready).
Il 19% è della categoria “focused world”, si tratta cioè di mondi virtuali settoriali i cui progetti sono focalizzati su una particolare area di interesse, come per esempio gaming, commercio, formazione, collaborazione lavorativa, come Fortnite e Microsoft Mesh.
E ancora, ci sono “showrooming world” (il 4% del totale), come Musee Dezentral, vetrine virtuali destinati all’esposizione, per esempio per opere d’arte di artisti e collezionisti, senza la possibilità di creazione da parte dell’utente e senza la presenza di un’economia interna. Esistono anche spazi temporanei (temporary space) creati per uno specifico evento o manifestazione che, però, non rientrano nell’analisi in quanto non possiedono i requisiti per essere considerati veri e propri mondi virtuali.
I progetti in corso. Nonostante il metaverso non sia ancora pronto, le aziende stanno dimostrando forte interesse e stanno testando l’ingresso in mondi virtuali. Nell’ambito dei 308 progetti realizzati e individuati nell’indagine, la maggioranza riguarda i settori delle vendite (30%), dell’intrattenimento (30%) e dell’It (17%), ma si trova anche un 9% di progetti finance and insurtech e il 5% food&beverage.
Come sottolineano gli esperti, la maggior parte propone servizi per intrattenere la community dei brand e attirare nuovi target, per aumentare la visibilità o fornire ai consumatori un nuovo punto di contatto per l’acquisto di prodotti.
All’orizzonte si affacciano anche progetti di “back-end”, veri e propri uffici o attività riguardanti le risorse umane che consentono di svolgere colloqui e attività di formazione.
Relativamente a tutti i progetti, l’84% è stato sviluppato sulle piattaforme di The Sandbox (43%), Decentraland (23%) e Roblox (15%). Ciò, come evidenziato nel report, dimostra che le aziende preferiscono avviare iniziative all’interno dei mondi più conosciuti e maturi. Il 72% dei progetti utilizza piattaforme basate sulla blockchain e l’83% di questi prevede l’utilizzo di Nft, ovvero certificati digitali non duplicabili che attestano l’originalità e la proprietà univoca di un bene fisico o digitale.
La maggior parte dei progetti sviluppati nel metaverso (l’85%) è realizzato in modo da essere persistente nel tempo, mentre il 15% di progetti non persistenti è costituito principalmente da eventi. Il 69% dei progetti censiti è stato sviluppato su una piattaforma metaverse ready, il 20% su open world.
Nella grande maggioranza dei casi (l’82%) è prevista un’interazione tra l’utente e il brand solo nel mondo virtuale, mentre nel 18% è previsto anche un collegamento con il mondo fisico, soprattutto tramite sconti ottenibili nel punto vendita, accessi esclusivi a beni o servizi reali, premi per le sfide.
«Il metaverso potrà trovare sviluppi in molti ambiti applicativi trasversali e differenti, non solo social e gaming, ma anche, lavoro, formazione, customer experience, vendita e molti altri, in una pluralità di settori», commenta Riccardo Mangiaracina, responsabile scientifico dell’osservatorio, «le aziende non devono lasciarsi prendere dalla fretta di entrare nel nuovo mondo digitale solo per un ritorno mediatico immediato: per il raggiungimento di benefici concreti occorre identificare e strutturare la strategia più corretta, ragionando sugli obiettivi specifici da raggiungere».
Fabrizio Milazzo, ItaliaOggi Setta