Livelli più elevati di vitamina D nel tessuto cerebrale potrebbero essere associati a una migliore funzione cognitiva. Lo rivela uno studio, pubblicato sulla rivista Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association, condotto dagli scienziati della Tufts University. Il team, guidato da Sarah Booth e Kyla Shea, ha analizzato i valori associati alla presenza di vitamina D nei campioni di tessuto cerebrale di 209 partecipanti al Rush Memory and Aging Project, un progetto a lungo termine sulla malattia di Alzheimer. I ricercatori hanno valutato la funzione cognitiva dei volontari ed esaminato i tessuti post mortem dei pazienti deceduti nel corso dell’indagine, avviata nel 1997. La vitamina D, spiegano gli autori, contribuisce al mantenimento di numerose funzioni all’interno dell’organismo, compresa la salute del sistema immunitario e delle ossa. Stando a quanto emerge dal lavoro, alti livelli di vitamina D sembravano correlati a un rischio significativamente inferiore di manifestare segni di decadimento cognitivo. “Allo stesso tempo, però – osservano gli esperti – i livelli di vitamina D nel tessuto cerebrale non sembravano associati ai marcatori fisiologici tipici della malattia di Alzheimer. Non sappiamo ancora come questo nutriente possa influenzare la funzione cerebrale. Ipotizziamo che la vitamina D possa essere correlata a degli aspetti che non abbiamo ancora considerato”. Gli esperti stanno pianificando studi di follow-up coinvolgendo un gruppo più diversificato di soggetti per esaminare altri cambiamenti cerebrali legati al declino cognitivo. Scopo del gruppo di ricerca, quello di raggiungere una migliore comprensione del ruolo che la vitamina D possa svolgere nel prevenire la demenza. Gli autori precisano che non è consigliabile eccedere la dose giornaliera raccomandata di vitamina D, pari a 600 UI per le persone di età compresa tra 1 e 70 anni e 800 UI per i più anziani. “Questo lavoro – afferma Booth – sottolinea l’importanza di capire come il cibo e nutrienti possano influenzare la resilienza del cervello e la capacità dell’organo cerebrale di contrastare l’invecchiamento e la demenza. Sarà necessario proseguire le ricerche per identificare la neuropatologia legata alla vitamina D prima di progettare interventi futuri sulla popolazione”.