I beneficiari di RdC finiscono tra i banchi di scuola. Dall’anno prossimo, infatti, l’attribuzione del sussidio verrà condizionato anche alla frequenza, obbligatoria per tutti i componenti della famiglia in età lavorativa, di un corso di formazione e/o di riqualificazione professionale della durata almeno di sei mesi. In mancanza, stop al sussidio per sempre. La novità è prevista nella bozza di legge bilancio per il 2023 che concede un ultimo giro di danza alla speciale misura. Al 31 dicembre 2023 è fissata l’abrogazione completa e la sostituzione, come scritto ancora nella bozza di manovra, con nuove «misure di sostegno alla povertà e all’inclusione attiva» al fine di evitare effetti disincentivanti al lavoro.
Gli ultimi dati. È la misura di contrasto alla povertà più rilevante degli ultimi anni, sia in relazione alla platea di beneficiari (nuclei familiari in condizioni di bisogno) sia per gli importi erogati. Nel mese di ottobre 2022 (in base ai dati dell’Inps comunicati il 25 novembre scorso) i nuclei beneficiari di RdC e PdC sono stati 1,16 mln (1,04 mln RdC e quasi 122 mila PdC), con 2,47 mln di persone beneficiarie (2,33 mln RdC e 138mila PdC) e un importo medio nazionale di 552 euro (583 euro per RdC e 285 euro per PdC). L’importo medio varia sensibilmente con il numero dei componenti i nuclei familiari: un minimo di 453 euro per i nuclei costituiti da una sola persona e un massimo di 738 euro per le famiglie con cinque componenti.
La platea dei beneficiari, complessivamente tra RdC e PdC, è composta da 2,18 mln di cittadini italiani, 204 mila cittadini extra-comunitari e quasi 83mila cittadini europei. Ai nuclei con minori (364mila con 1,3 mln di persone coinvolte), l’importo medio mensile è di 684 euro, tra un minimo di 594 euro per i nuclei di due persone a massimo 743 euro per quelli di cinque persone. I nuclei con disabili sono 201mila per 449mila persone coinvolte.
L’importo medio è di 493 euro, con un minimo di 389 euro per i nuclei con una sola persona a 704 euro per quelli con cinque persone. La distribuzione per aree geografiche vede 424mila soggetti beneficiari al Nord, 327mila al Centro e 1,72 mln nel Sud e Isole.
Ultimo giro. Un altro anno di vita, il prossimo 2023, e poi addio per sempre. Un anno, peraltro, in versione ridotta: da gennaio a dicembre 2023, infatti, spetterà per massimo otto mensilità, tranne ai nuclei con persone disabili, minorenni o con almeno 60 anni ai quali è confermata l’attuale durata di 18 mesi (la ridotta durata, dunque, riguarderà solo i nuclei con soggetti d’età da 18 a 59 anni). Il taglio dovrebbe colpire soltanto i nuovi assegnatari di RdC e i rinnovi, non anche gli assegni in corso di fruizione (quelli riconosciuti entro fine anno, cioè, dovrebbero mantenere la durata lunga di 18 mesi).
Formazione obbligatoria. Novità particolare è la previsione, sempre dal 1° gennaio 2023, dell’obbligo, per tutti i soggetti del nucleo familiare beneficiario di RdC, di essere inseriti, per un periodo di sei mesi almeno, in un corso di formazione e/o riqualificazione professionale. La nuova previsione non sembra rivolgersi soltanto ai nuovi beneficiari, ma anche a quelli già titolari del diritto al RdC (cioè quelli che lo hanno o l’avranno riconosciuto entro il 31 dicembre prossimo). L’obbligo, in particolare, colpisce i soggetti in età lavorativa che già ora sono tenuti a sottoscrivere il «Patto per il lavoro». Per ricevere il RdC, infatti, secondo la disciplina che resterà valida anche per il prossimo anno (perché non modifica dalla bozza di manovra) è necessario rispettare alcune “condizionalità” che sono: l’immediata disponibilità al lavoro; l’adesione a un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che può prevedere attività di servizio alla comunità, per la riqualificazione professionale o il completamento degli studi, nonché altri impegni finalizzati all’inserimento nel mercato del lavoro e all’inclusione sociale.
Al rispetto di queste condizioni sono tenuti i componenti della famiglia beneficiaria del RdC maggiorenni, non occupati e che non frequentano un regolare corso di studi (sono considerati disoccupati i lavoratori a basso reddito, ovvero i dipendenti con redditi da lavoro inferiori a 8.000 euro e i lavoratori autonomi con redditi inferiori 4.800 euro). Invece, sono esclusi i beneficiari di PdC; quelli di RdC pensionati o comunque in età pari o superiore a 65 anni; i componenti con disabilità. Gli obbligati possono essere esonerati da questo obbligo dai Centri per l’impiego, in presenza di carichi di cura legati alla presenza di minori di tre anni o di componenti del nucleo con disabilità grave o non autosufficienti ovvero i frequentanti corsi di formazione e gli occupati a basso reddito considerati disoccupati. Dal prossimo anno, stando alla bozza di manovra, i predetti soggetti che sono obbligati a firmare il «Patto per il lavoro» sono tenuti a frequentare, per almeno sei mesi, un corso di formazione o di riqualificazione professionale di cui alla legge 53/2003 (norme generali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzione e formazione professionale). In caso di mancata frequenza, scatta la decadenza dal RdC per l’intero nucleo familiare. Per rendere più stringente il nuovo obbligo, le regioni sono tenute a inviare all’Anpal gli elenchi dei soggetti che non rispettano la frequenza.
No a deterrente del lavoro. Gli effetti del RdC in termini occupazionali sono evidenti dall’analisi dei dati del 2021, sempre dell’Inps: risulta che le persone con una posizione lavorativa più debole hanno lasciato il mercato del lavoro, almeno quello formale (sono finite nel nero?); che chi aveva una posizione lavorativa migliore ha ridotta le settimane lavorate. In entrambi i casi si tratta di variazioni che denotato un effetto paradossale del RdC: anziché aiutare a ricercare o a migliorare la propria posizione occupazionale, ha fatto da deterrente al lavoro. In particolare, le settimane lavorate si sono ridotte da 15,16 del 2018 a 14,51 nel 2019; mentre il numero di soggetti beneficiari di RdC con occupazione nel privato da circa 265.500 del 2018 è sceso a circa 260.000 nel 2019.
I numeri. Nell’analisi del 2021, l’Inps chiama “stabili” i soggetti che, contemporaneamente alla fruizione del RdC, hanno avuto anche un occupazione. Si tratta di circa 855mila nuclei familiari, con un coinvolgimento di oltre 2 mln di persone. La sintesi dei dati è in tabella. Di 2.048.394 persone beneficiarie oltre l’80% è risultato non avere avuto posizione lavorativa. A fronte di 393.001 beneficiari con posizione lavorativa, contemporanea alla fruizione del RdC, ci sono 326.315 nuclei familiari. Ne consegue una stima della “contemporanea partecipazione al mercato del lavoro dei percettori” assai differente a seconda che l’unità di analisi sia il “nucleo” ovvero la “persona”. Infatti, è pari al 40% circa per i nuclei (326 mila su 855 mila) e al 20% circa per le persone (393 mila su 2 milioni). La “forchetta” tra i due criteri dipende, sostanzialmente, dal fatto che è sufficiente che un solo componente del nucleo lavori, perché l’intera famiglia sia etichettata come “nucleo con lavoratori”, mentre è necessario che tutti i componenti non lavorino perché valga la dizione opposta, cioè di “nucleo senza lavoratori”. L’analisi dell’Inps dettaglia, poi, che i percettori che sono anche lavoratori (393 mila) sono 236 mila uomini e 157 mila donne. Rispetto alla collettività di riferimento (2 mln di beneficiari), il 26% di quanti percepiscono il RdC nel Nord è anche lavoratore, come il 36% degli extracomunitari percettori del sussidio; tale percentuale sale al 46% se si considera solo il genere maschile. Il numero medio di settimane che i 393 mila soggetti risultano aver lavorato nel corso dell’anno è 28, circa 6/7 mesi; la tipologia prevalente è il lavoro dipendente privato (62%), seguita dal lavoro autonomo (19%) e dal lavoro domestico (8%).
A convincere ulteriormente che il RdC possa aver inciso poco (o per niente) sul mercato del lavoro, aggiunge ancora l’Inps, potrebbe esserci anche dell’altro. Una premessa: un lavoro, per essere compatibile con il RdC deve presentare caratteristiche molto precise: temporaneità e/o basso reddito. L’Inps osserva che il numero di soggetti occupati, in crescita dall’anno 2016, nel 2019, anno in cui è stato introdotto il RdC, subisce una riduzione. Le persone che prestano attività lavorativa tra i beneficiari di RdC sono 260.074 con una riduzione di 5.423 unità rispetto al 2018. Se si guardano i flussi in entrata e in uscita, il numero di soggetti che esce dal mercato nel 2019 è di 91.308 unità, quasi un terzo dei 265.497 lavoratori che si osservano nel 2018. Questa frazione riguarda lavoratori caratterizzati da retribuzioni annuali inferiori alla media dei salari percepiti dagli altri lavoratori che, invece, continuano a essere presenti nel 2019 (2.461 euro) e da meno settimane lavorate (sette settimane). Sembrerebbe, quindi, chiosa l’Inps «che nell’anno dell’introduzione del RdC, gli individui che potevano accedere alla misura e che avevano posizioni lavorative di maggior svantaggio siano usciti dal mercato del lavoro».
Daniele Cirioli, ItaliaOggi Sette