IL recesso anticipato dalla locazione commerciale è condizionato. L’azienda inquilina che, per esempio, chiude la sede che ha nell’immobile commerciale non ottiene lo scioglimento del contratto. E dunque rischia non soltanto di pagare i canoni pattuiti fino alla scadenza naturale, ma anche che il contratto si rinnovi in automatico con l’adempimento dei relativi e più onerosi obblighi. Al conduttore, infatti, non basta comunicare al locatore la fine dell’attività nel locale per recedere anzitempo dal contratto. La liberazione anticipata dalla locazione per uso non abitativo può avvenire soltanto per il “grave motivo” previsto dall’articolo 27, ultimo comma, della legge 392/78, vale a dire un evento sopravvenuto alla costituzione del rapporto, estraneo alla volontà del conduttore e tale da rendere la prosecuzione troppo gravosa per quest’ultimo. È quanto emerge dall’ordinanza 26618/22, pubblicata il 9 settembre, dalla terza sezione civile Cassazione.
Il caso. Con una raccomandata datata 16 luglio, la società conduttrice annunciava di voler recedere dalla locazione per “cessazione dell’attività” nei locali. Nel giro di una settimana arrivava la risposta del locatore, che contestava il recesso, cominciando un carteggio fra le parti, fino a gennaio, quando l’ufficiale giudiziario notificava al locatore l’intimazione a ricevere le chiavi del locale. Allora la spa si rivolgeva al giudice, chiedendo che fosse riconosciuta l’illegittimità del recesso e che la conduttrice fosse condannata ad adempiere le obbligazioni derivanti dal contratto, da ritenersi rinnovato in automatico per nove anni. E domandava pure che la controparte dovesse pagare oltre 224 mila euro, la somma che serviva per realizzare i lavori necessari a riportare in buono stato l’immobile.
Il Tribunale ha condannato l’azienda inquilina a pagare i canoni dovuti fino a gennaio. La Corte d’appello ha confermato la decisione, ma con una motivazione diversa. Secondo il giudice del gravame, infatti, la cessata attività nei locali configura il grave motivo richiesto dall’articolo 27, secondo comma, della legge 392/78, ma il recesso anticipato risulta esercitato al di fuori dei termini legali di preavviso di sei mesi: in realtà la raccomandata spedita il 16 luglio indicava il 30 ottobre come data del recesso, mentre i documenti prodotti in giudizio dalla conduttrice non offrivano la prova dell’avvenuto pagamento. Né risultavano migliorie apportate dall’inquilina al locale.
A parere della Suprema corte, tuttavia, sbaglia la Corte d’appello a ritenere che la cessazione dell’attività nei locali annunciata dalla conduttrice integri l’ipotesi del recesso anticipato. Trova ingresso la censura avanzata dalla società locatrice, secondo cui il recesso anticipato deve essere collegato a fattori obiettivi e indipendenti dalla volontà del conduttore e non a valutazioni soggettive di quest’ultimo. Spettava alla società inquilina provare la sussistenza dei gravi motivi richiesti per legittimare la liberazione anticipata dell’immobile, mentre l’onere non risulta adempiuto: la conduttrice, invece, si limitava ad allegare il conto economico relativo alla sede, una documentazione da ritenersi di per sé inadatta.
La motivazione della Cassazione. È accolto uno dei motivi di ricorso proposti dalla spa locatrice dell’immobile. Infatti, la raccomandata spedita il 16 luglio dalla conduttrice, spiegano gli Ermellini, non è sufficiente a determinare la cessazione anticipata del rapporto, come pure ritiene la Corte d’appello, perché non risultano specificati dalla società inquilina i gravi motivi richiesti dalla legge 392/78. È vero: in tema di immobili urbani adibiti a un uso diverso da quello di abitazione, deve ritenersi in astratto sufficiente che il conduttore manifesti al locatore il grave motivo per il quale intende recedere dal contratto comunicandolo con raccomandata o con un altro mezzo equivalente.
E ciò senza avere anche l’onere di spiegare le ragioni di fatto, di diritto oppure economiche sulle quali il motivo è fondato: si tratta, infatti, di attività che devono essere svolte unicamente in caso di contestazione da parte del locatore. Attenzione, però: si tratta di un recesso titolato, e dunque la comunicazione del conduttore non può prescindere dallo specificare i motivi che la determinano, anche se la circostanza non risulta prevista in modo esplicito dalla norma. Per la società inquilina, allora, specificare i motivi per i quali non può più rimanere a operare nei locali è necessario a perfezionare la dichiarazione di recesso. E serve anche a consentire al locatore di rispondere e contestare sul piano dei fatti, in modo preciso, oltre che tempestivo, i motivi indicati dal conduttore e la relativa idoneità a legittimare il recesso dal contratto. Insomma: è escluso che il conduttore possa esplicitare in un momento successivo le ragioni della decisione assunta.
Il recesso anticipato. Soltanto avvenimenti sopravvenuti alla costituzione del rapporto di locazione possono giustificare la liberazione anticipata dal vincolo ai sensi dell’articolo 27, ultimo comma, della legge 392/78. Deve trattarsi di circostanze imprevedibili, che esulano dalla volontà del conduttore; eppure, non gli permettono di restare nei locali e quindi di onorare il contratto.
Insomma: la gravosità della prosecuzione deve avere una connotazione oggettiva e non può risolversi in una valutazione unilaterale effettuata dal conduttore rispetto alla convenienza o meno di continuare il rapporto di locazione.
Di più. La circostanza deve essere non soltanto tale da eccedere l’ambito della normale alea contrattuale, ma anche consistere in un sopravvenuto squilibrio tra le prestazioni originarie, che risulta tale da incidere in modo significativo sull’andamento dell’azienda sul piano globale.
A parere della Corte di cassazione l’errore compiuto dal giudice del gravame è ritenere che la cessazione dell’attività nei locali significhi cessazione dell’attività imprenditoriale, in contrasto con il tenore del recesso: la Corte d’appello non ha considerato che l’intento annunciato nella comunicazione che la conduttrice inviava alla società locatrice era riconducibile a una libera scelta e non a un fatto estraneo alla sua volontà; è escluso insomma che la circostanza integri il grave motivo richiesto dalla legge. La genericità del motivo addotto, poi, esonerava il locatore dalla contestazione tempestiva e specifica, in un’ottica di tendenziale contemperamento dei diritti e degli interessi delle parti contrattuali e in una prospettiva di equilibrio e di correttezza dei comportamenti economici e di certezza delle situazioni giuridiche.
Deve essere sottolineato, infine, che la sentenza di secondo grado non ha affrontato una questione fondamentale, vale a dire se l’illegittimità del recesso giustifichi la domanda di pagamento dei canoni di locazione fino alla scadenza convenuta: spetta quindi al giudice del rinvio pronunciarsi sul punto, verificando se l’immobile nel frattempo è rimasto non affittato e se, comunque, il locatore lo abbia utilizzato in modo diretto o indiretto.
Dario Ferrara, ItaliaOggi