(di Tiziano Rapanà) Si vocifera sul web delle possibili quote LGBT nelle storie che fanno parte delle produzioni Disney. Tutto giusto, bello, interessante ma il problema sta nel significante. La questione deve poggiare sul linguaggio audiovisivo. Disney fa cosa buona, ma l’immaginario creativo è quello: tra Duck Tales e Frozen, non si va oltre. Si tratta di un intrattenimento onesto e di valore, ma si fa pur sempre cinema e televisione industriale. Beninteso, sono un felice abbonato a Disney +. Seguo le novità della piattaforma, epperò l’arte è altra cosa. Il cinema lo hanno praticato in pochi e tra questi non includo, ad esempio, nemmeno Scorsese. Di Buster Keaton, Luis Buñuel, Arrabal e di qualche altro si può parlare di cinema. Tutto il resto è intrattenimento o, nel migliore dei casi, di ottima narrativa audiovisiva. Pochi arrischiano ad andare oltre il consueto, tutti gli altri non superano la struttura del linguaggio cinematografico. A me Disney piace, perché è la casa di Topolino, Paperino, Eta Beta… i personaggi li conosciamo, ma nel novanta percento si tratta di intrattenimento, di grande cinema- di rottura dell’abisso del routiniero – c’è ancora poco. Che si discuta anche di questo, che si dia spazio e volontà a fumettisti e registi indipendenti in grado di innovare. È tempo, tra le tante cose, di ridisegnare la prossemica dei personaggi dei film di animazione.