Lotta alla pandemia: la rivincita dello Stato

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Giusto due anni fa le prime zone rosse in Italia: undici Comuni off-limits fra Lombardia e Veneto dopo la scoperta del paziente 1, il trentottenne di Codogno primo positivo italiano al Sars-Cov-2. La cittadina lodigiana è il primo simbolo della pandemia.Nel frattempo tanti lutti ha portato il Covid-19 e oggi non si può ancora del tutto abbassare la guardia, pur con tre dosi di vaccino fatte e una quarta (forse) in arrivo in autunno, con 672 casi per 100 mila abitanti e il tasso di occupazione dei posti letto in area medica al 22,2 per cento e in terapia intensiva al 10,4.Ma se un bilancio è possibile, dalla giurisprudenza formatasi sulla normativa d’urgenza un dato emerge con chiarezza: nell’emergenza sanitaria, e talvolta non solo in quella, la necessità di tutelare la collettività prevale sul diritto all’autodeterminazione del singolo. E ciò sul lavoro, in famiglia, nell’esecuzione dei contratti, i tre fronti principali del contenzioso pandemico. Insomma: se il Covid ha colpito tante persone, ha almeno l’effetto di resuscitare il senso di comunità, che riaffiora nei momenti difficili, come contro il terrorismo negli anni Settanta. Fra dipendenti pubblici no pass, genitori no vax ed esercenti danneggiati dal lockdown tornano di moda valori costituzionali sbiaditi dopo anni di particolarismi e deregulation. Perfino l’Europa, ora, è quella del Pnrr, il piano di ripresa e resilienza, invece che del rigore economico e del patto di stabilità. E le misure anti assembramento danno impulso al processo telematico in Cassazione e nel penale dove la modalità telematica era attesa da anni. Dovere di solidarietà. Sono fermi i giudici amministrativi nel respingere l’assalto dei dipendenti pubblici sospesi perché non vogliono farsi inoculare la dose. Bocciati i prof no vax: il «diritto individuale alla salute» non può avere «valore assoluto», mentre l’esigenza di evitare la circolazione del Sars-Cov-2 fra i giovani costituisce una questione di «salute pubblica», spiega il Consiglio di Stato nel decreto 5950/21. Il docente, beninteso, conserva il diritto a non vaccinarsi visto che sono ammesse «misure alternative di carattere individuale». Ma non può dimenticare di avere una responsabilità specifica e rafforzata nei confronti dei discenti, che costituisce una componente essenziale della funzione di ogni docente.Inevitabile la sospensione anche dallo stipendio per chi non adempie.Il principio vale a maggior ragione per i camici bianchi: nel decreto 6401/21 Palazzo Spada ritiene legittima la sospensione del medico adottata dall’Ordine dell’Abruzzo sul rilievo che è il giuramento di Ippocrate, prim’ancora della legge, a imporre al sanitario di curare i malati e di non mettere in pericolo i pazienti con cui entra in contatto. Per medici e infermieri, sottolinea il CdS nella sentenza 7045/21, l’obbligo vaccinale non è fondato solo sulla relazione di cura e fiducia che legale i pazienti e il personale sanitario ma scaturisce da un più generale «dovere di solidarietà».

Diritto ambivalente. Viene prima l’individuo o la collettività? La questione assume contorni più specifici nelle liti davanti al giudice del lavoro. Sospendere il dipendente no vax è legittimo perché la perdita dello stipendio non è di per sé «irreparabile»: è un danno risarcibile ex post come tutte le lesioni dei diritti che derivano da rapporti obbligatori. E dunque, evidenzia l’ordinanza 2467/21 del tribunale di Modena, il lavoratore deve provare la condizione d’indigenza con Isee o buste paga di tutta la famiglia o la compromissione dei diritti alla salute, alla carriera, alla formazione e all’immagine. Il diritto alla salute, insegna la Corte costituzionale, è ambivalente: da una parte il diritto all’autodeterminazione del singolo, dall’altro l’interesse della collettività.

Di più: il datore è obbligato dall’articolo 2087 c.c. ad adottare tutte le misure necessarie per evitare danni ai dipendenti. E il dl 18/2020, approvato nei giorni bui del lockdown, equipara agli infortuni sul lavoro le infezioni da Sars-Cov-2 contratte in servizio: lo ricorda il tribunale di Venezia nella sentenza 387/21 nel dichiarare legittimo lo stop di tre giorni al lavoratore che non indossa la mascherina perché «ha caldo», invocando «non ben precisate libertà individuali». Così come non fa una grinza la sospensione dal servizio e dalla retribuzione del dipendente che rifiuta il tampone nell’ambito dello screening voluto dall’azienda per prevenire il contagio nello stabilimento.

Se l’adesione alla campagna è volontaria, avverte il tribunale di Bergamo nella sentenza 549/22, la scelta di non sottoporsi al test rende il lavoratore «oggettivamente inidoneo» a eseguire la prestazione. Il tampone naso-faringeo, d’altronde, a differenza del vaccino non è un trattamento sanitario ma costituisce soltanto un accertamento diagnostico che non incide in alcun modo sull’integrità fisica della persona.

Ma soprattutto l’art. 2087 c.c. impone al datore di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori e che il dlgs 81/2008 prescrive di ridurre al minimo i rischi raccomandando al lavoratore di prendersi cura della salute propria e dei colleghi.

Minori e vaccini. La teenager ottiene di immunizzarsi contro il volere del padre perché vuole riprendere una vita normale, uscendo con gli amici, senza più incontrare i limiti introdotti dal Green pass prima e poi dal Super certificato. Il genitore non considera che lo sviluppo della personalità della ragazza deve essere garantito in ogni ambito: «ricreativo e sociale oltre che scolastico e sportivo», sottolinea il decreto pubblicato il primo dicembre dal tribunale di Venezia. Senza dimenticare che la mancata vaccinazione ha ripercussioni sulla vita lavorativa e di relazione di tutte le persone. I dubbi no vax espressi dal padre, scrive il giudice, richiamano teorie di gruppi che «si pongono al di fuori della comunità scientifica»: così la responsabilità genitoriale dell’uomo è sospesa sul punto.

In un altro caso il vaccino chiesto dal padre scatta anche se è il tredicenne che ha dubbi e non risulta molto consapevole delle limitazioni che la mancata vaccinazione può comportare nella vita sociale. E pure dei rischi ben più gravi che la circolazione del virus può comportare per il nonno novantenne che vive col padre. Il minore, conclude il decreto della Corte d’appello di Venezia, è parte di una comunità e prima di tutto un componente della propria famiglia.

Dario Ferrara, ItaliaOggi Sette