Un gruppo di ricercatori della Sapienza, in collaborazione con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù e la Fondazione Policlinico Gemelli, ha evidenziato per la prima volta la possibilità di identificare, con un semplice prelievo di sangue, le specifiche alterazioni del segnale dell’insulina nel cervello dei bambini con sindrome di Down, alla base della loro disabilità intellettiva. Lo studio è stato pubblicato su ‘Alzheimer’s & Dementia: The Journal of the Alzheimer’s Association’. La sindrome di Down è la più comune causa genetica di disabilità intellettiva ed è dovuta alla presenza, parziale o totale, di un cromosoma 21 in sovrannumero (la cosiddetta “trisomia 21”). Si stima che l’attuale prevalenza nella popolazione generale vari tra 1:1000 e 1:2.000 nati. La disabilità intellettiva è costante, ma di grado variabile. Inoltre, l’evoluzione della sindrome di Down può essere condizionata da un invecchiamento precoce e dalla comparsa della malattia di Alzheimer.
È noto il ruolo svolto dal segnale dell’insulina nel cervello che, in particolare, risulta fondamentale rispetto a funzioni cognitive quali memoria e apprendimento. “Quello che pensiamo – spiega Eugenio Barone della Sapienza, coordinatore del gruppo di ricercatori assieme a Marzia Perluigi – è che il perdurare di questo tipo di alterazioni possa facilitare lo sviluppo precoce della malattia di Alzheimer in queste persone”. “Questo lavoro rappresenta una scoperta importante principalmente per tre motivi – chiarisce Perluigi -. Il primo è l’aver dimostrato che queste alterazioni si verificano molto presto, già nei bambini con sindrome di Down; il secondo riguarda il metodo: riuscire con un prelievo di sangue a risalire ad alterazioni cerebrali per le quali oggi non abbiamo altri strumenti diagnostici in grado di identificarle”. “Il terzo motivo – conclude Barone – sta nel fatto che identificare quanto prima le alterazioni che si verificano nel cervello, soprattutto nei bambini con sindrome di Down, permetterà di studiare in maniera ancora più approfondita le cause della loro disabilità intellettiva, aprendo di conseguenza a possibili trattamenti terapeutici in grado di migliorarne la qualità di vita”.