Ecco la differenza tra Covid e influenza

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“La malattia da nuovo coronavirus e l’influenza stagionale sono due problematiche respiratorie provocate da virus diversi, che, sebbene in alcuni casi possano risultare semplici da confondere, presentano sintomatologie e sviluppi clinici divergenti”. A spiegarlo all’AGI Emanuele Montomoli, docente ordinario Igiene presso l’Università degli studi di Siena, commentando alcuni degli aspetti in comune tra il Covid e l’influenza. “Dal punto di vista virologico – continua – entrambi gli agenti patogeni attaccano l’apparato respiratorio, ma i recettori coinvolti sono ben distinti. Se l’influenza si lega all’acido sialico, che si trova principalmente nei polmoni, SARS-CoV-2 interagisce con il recettore ACE-2, presente su diversi organi dell’organismo. Questo spiega la varietà dei sintomi associati all’infezione da nuovo coronavirus”. Oltre l’esordio brusco con la febbre, che si può presentare in entrambi i percorsi clinici, il decorso delle due malattie si delinea in modo sostanzialmente differente, ricorda l’esperto, perché per Covid-19 si assiste anche a casi caratterizzati da problematiche del tratto gastrointestinale, mal di testa, perdita di gusto e olfatto e una serie di altre condizioni che non si verificano in un paziente con influenza. “Le polmoniti tipiche da Covid-19 si manifestano inoltre con lesioni polmonari progressive importanti – osserva ancora Montomoli – mentre la virosi polmonare da influenza tende a risolversi spontaneamente, anche se può degenerare negli individui con comorbilità. Ad ogni modo è necessario procedere con indagini diagnostiche di biologia molecolare per individuare con certezza il virus, per cui è fondamentale eseguire tamponi e, in determinate situazioni, sequenziamenti, per identificare con precisione l’agente patogeno responsabile dell’infezione”. “La terza dose dei vaccini antiCovid – continua Montomoli – rappresenta il completamento naturale del ciclo vaccinale. L’immunizzazione esercitata dalle due dosi a mRNA o a base di vettori virali tende a durare meno di un anno, per cui il secondo richiamo (la terza dose) è necessario per un’immunità di lungo corso. C’è da precisare, però, che un’efficacia di diversi anni potrebbe essere poco utile, dato che abbiamo imparato che SARS-CoV-2 muta significativamente. Tra qualche anno, quindi, la risposta immunitaria potrebbe non essere in grado di proteggere dai ceppi che circoleranno nel prossimo futuro”.    “Il virus diventerà endemico – sostiene il docente – per cui possiamo ragionevolmente ipotizzare che sarà necessario eseguire vaccinazioni antiCovid annuali, anche se sarà opportuno stabilire il momento migliore per immunizzare la popolazione. Confido che l’Organizzazione mondiale della sanità pubblicherà delle linee guida utili a stabilire una rete di sorveglianza simile a quella legata esistente per il virus influenzale”.