Incastrati in un matrimonio insoddisfacente? Attenzione, perché o si interviene con una terapia di coppia, oppure si rischia di morire prima del tempo. A sostenerlo è uno studio effettuato da un team di ricercatori dell’Università di Tel Aviv, che ha monitorato per 32 anni dati raccolti a partire dagli anni ’60 e ha preso in considerazione quelli relativi alle cause di morte di oltre 10mila uomini. Secondo quanto emerso, l’infelicità tra le mura domestiche, anche solo percepita, ha portato al decesso per patologie cerebrovascolari, come ictus, ischemie, aneurismi o arterie occluse, con un’incidenza paragonabile a quella dei fumatori o di chi conduce una vita sedentaria. Le probabilità di una morte per ictus a causa di un matrimonio infelice è del 69,2% in più rispetto a quella di chi vive un matrimonio felice. Il tasso di mortalità di chi aveva dichiarato di non vivere tranquillo tra le mura di casa è risultato del 19% più elevato. Per cui, suggeriscono gli autori dello studio, il servizio e le autorità sanitarie dovrebbero promuovere le terapie di coppia come meccanismo per migliorare la salute negli uomini e aiutarli a vivere una vita più lunga. “Il nostro studio dimostra che la qualità del matrimonio e della vita familiare ha implicazioni sulla salute e, di conseguenza, sulle aspettative di vita”, ha detto l’autore, il dottor Shahar Lev-Ari. “Gli uomini che hanno riferito di aver percepito il loro matrimonio come un fallimento sono morti più giovani di quelli che lo hanno vissuto con felicità”. All’inizio della raccolta dei dati, la maggior parte dei partecipanti aveva 40 anni e di questi, il 64% è morto a causa di malattie. A tutti era stato richiesto di classificare il livello di soddisfazione del matrimonio in una scala da 1 a 4. Dei 10mila soggetti analizzati, 5.736 sono morti e per 595 di questi la causa è stata un ictus. Tra i dati più interessanti dello studio, è anche emerso come con l’avanzare dell’età, il rischio di morire per malattie cerebrovascolari si riduce in presenza di un matrimonio infelice probabilmente perché, ha spiegato ancora Lev-Ari, “ci sono processi di adattamento al partner nel tempo”. I risultati, ha concluso, “sono coerenti con altri studi che hanno già dimostrato l’efficacia dei programmi educativi che promuovono le buone relazioni come parte della strategia nazionale per la salute e il benessere”.