A dicembre 2020 Moncler si è conquistata i titoli dei giornali italiani con l’acquisizione di Stone Island, anzi, della società Sportswear Company che ne detiene il marchio, dando vita così al primo polo del lusso italiano. Ma la stessa entrata di Moncler nel portafoglio industriale italiano è storia recente: l’azienda di piumini probabilmente più famosa del mondo nasce infatti nel 1952 in Francia (il nome stesso non è che l’abbreviazione di Monestier de Clermont, villaggio di montagna vicino a Grenoble). Dietro c’è l’imprenditore fabbricante di articoli da montagna René Ramillon, che con questo nuovo marchio si dedica alla produzione di sacchi a pelo imbottiti, una mantella foderata e tende dalla struttura telescopica proprio mentre l’Europa scopre l’esperienza della vacanza in montagna.
Se il paesaggio innevato si popola di turisti e di alpinisti, i piumini rimangono però in fabbrica, indossati dagli operai sopra la tuta da lavoro per proteggersi dal freddo. Almeno fino al 1954, quando l’alpinista Lionel Terray decide di esplorarne le potenzialità come abbigliamento tecnico per le escursioni lavorando con Moncler alla linea specialistica Moncler pour Lionel Terray e la spedizione italiana sul Karakorum composta da Achille Compagnoni e Lino Lacedelli veste Moncler durante quella che diventerà la conquista della seconda vetta più alta del mondo. Da quel momento è un susseguirsi di imprese sportive nei climi più rigidi affrontate indossando i piumini francesi che nel frattempo si fanno anche più maneggevoli e leggeri. Dobbiamo aspettare l’inizio degli anni 70 per vedere i primi duvet così come li intendiamo oggi: la svolta arriva con il modello “Nepal”, equipaggiato con spalline in pelle per appoggiare gli sci senza danneggiare il tessuto e indossato dai sempre più numerosi sciatori che di anno in anno scoprono il turismo sulla neve, destinato di li a pochi anni a diventare un fenomeno di massa.
Dalle settimane bianche alle settimane della moda il passo è breve: negli anni ’80 la stilista parigina Chantal Thomass comincia a collaborare con Moncler, sostituendo le cerniere con i bottoni e introducendo bordi in pelliccia, il satin e i tessuti reversibili per portare il piumino nell’abbigliamento da città.
Tra i primi a intercettare i nuovi piumini Moncler e a farne un accessorio distintivo ci sono i figli della borghesia milanese, adolescenti benestanti provenienti da famiglie agiate che si ritrovano davanti a Il Panino per ascoltare musica New Wave in sella alle loro Vespe: i Paninari. Ai piedi, gli stivaletti Timberland, abbinati a jeans arrotolati e a camicie o polo a scacchi. Ma il vero must-have, quello per cui ancora oggi li ricordiamo, era il piumino Moncler gonfio e dai colori vivaci. “A metà degli anni ’80, al culmine del boom dei paninari, Moncler vendeva circa 40.000 pezzi in tutto il mondo” raccontava qualche anno fa Remo Ruffini al New York Times. “Di questi, 30.000 erano nell’area di Milano”.
Il fenomeno in realtà è durato pochi anni, anche perché spiega sempre Ruffini, quei duvet erano progettati per la neve, quindi non idrorepellenti: se pioveva durante un viaggio in Vespa, la giacca poteva finire per pesare anche cinque o dieci chili!
Il piumino da città arriva infatti solo con Ruffini, attuale Presidente e Amministratore Delegato, che acquisisce l’azienda nel 2003 e mette a punto un piano di rilancio che intreccia heritage, innovazione tecnologica e ricerca estetica. “Nel 2003, Moncler era un’azienda che aveva dimenticato da dove venisse, ma era ancora vivissima nell’immaginario di tutti, quella giacca lucida e colorata, emblema degli anni ’80” spiega in una recente intervista. “La mia idea iniziale è stata proprio quella di ripartire dalla radice di Moncler, di ricordare a tutti la sua storia, le sue origini francesi, i momenti di gloria tra le Olimpiadi di Grenoble e le conquiste alpinistiche. Ma, nel contempo, volevo creare qualcosa di ‘globale’. Il mio sogno era che, un giorno, nel linguaggio comune, si sarebbe detto ‘Moncler’ per dire ‘piumino’, come si dice Bic per dire penna a sfera”.
Nel 2006 arriva la collezione Haute Couture Moncler Gamme Rouge, disegnata prima da Alessandra Facchinetti e poi da Giambattista Valli, a cui fanno seguito la linea maschile Moncler Gamme Blue (2009) progettata in collaborazione con lo stilista americano Thom Browne, e Moncler Grenoble (2010), con cui il brand rivisita la sua storia dando un taglio contemporaneo sia all’abbigliamento da sci sia a quello per l’after-ski. Seguono collaborazioni con artisti e stilisti, nuovi settori di mercato (su tutti, la linea di occhiali Moncler Lunettes) fino al progetto Genius, lanciato nel 2018: una “repubblica dell’immaginazione”, per riprendere le parole del primo comunicato stampa, “un hub di menti eccezionali che operano insieme pur continuando a coltivare la loro individualità”. I primi creativi invitati sono stati Pierpaolo Piccioli, Simone Rocha, Craig Green, Kei Ninomiya con il suo brand Noir, Hiroshi Fujiwara e Palm Angels, a cui negli anni si sono aggiunti Liya Kebede, Sergio Zambon e Veronica Leoni, Sandro Mandrino, Matthew Williams di 1017 ALYX 9SM, Richard Quinn, Francesco Ragazzi e Poldo Dog Couture e JW Anderson. Arriviamo così al 2020, e all’acquisizione di Stone Island, ultimo tassello di un grande progetto che punta a ridefinire l’idea di lusso, inteso come (per citare ancora Ruffini) “un universo aperto e partecipativo, che vive di community, esperienzialità e di scambi culturali, dove la comunicazione è sempre interazione e dove l’aspirazionalità va oltre il possesso per diventare ‘essere parte’, ‘appartenere’”.
Carlotta Marelli, Elledecor.com