
(di Tiziano Rapanà) Non rammento più l’anno esatto. Mi ricordo il freddo natalizio che si respirava nei mercatini di fine anno. Tra le bancarelle avevo scorto un librino di Andrea G. Pinketts, Mi piace il bar. Prima di allora, di Pinketts avevo bene in mente la sua presenza fisica e mediatica in tv. Non conoscevo nulla della silhouette creativa e intellettuale dello scrittore, non era ancora nata la curiosità per la sua opera. Benedetta bancarella, perché scoprii un mondo fantastico fatto di un continuo amore per il ritmo, la rima e l’assonanza. Non c’erano dubbi: lo scrittore aveva realmente il “senso della frase”. Anni dopo mi decisi a contattarlo via email. Scrissi una cosetta stramba nello stile Pinketts, per mera ruffianeria. L’oggetto della mail non era male, “Mi piace il bar, anche se Brett Halliday non l’ho incontro mai”. Brett Halliday era il padre, o uno dei padri, dell’hard boiled (è un sottogenere poliziesco molto in voga negli anni ’40 e ’50). Il suo eroe di carta si chiamava Mike Shayne, un investigatore privato rosso malpelo, noto per risolvere i casi con piglio rude. Da noi sono usciti pochi romanzi, quasi tutti pubblicati dalla Garzanti. Andrea mi rispose dopo un mese: “Ciao Tiziano, scusa il ritardo nella risposta, come avrai capito io non sono tecnologico né rosso come il nostro detective. Telefonami in nero dopo le due del pomeriggio”. Pinketts non aveva un pc né uno smartphone (si accontentava di un cellulare vecchio modello). Delle sue faccende informatiche se ne occupava Elisabetta Friggi, direttrice di G. A. Z. magazine, che adesso scrive splendidi libri per bambini. Lo chiamai. Non siamo stati amici, non l’ho mai visto di persona. Colpa mia e dei miei maledetti impegni: Andrea, in più di un’occasione, mi aveva invitato a Milano a trovarlo al Bar Le Trottoir (dove aveva il suo ufficio) o al BALUBA, dove si era inventato una rassegna letteraria GIGI giovedì giallo: ogni giovedì, Andrea presentava un giovane autore emergente. Con Pinketts ci siamo parlati al telefono 6-7 volte. Le telefonate erano brevi e tutte incentrate su piccole futilità del quotidiano. Una volta mi chiamò a mezzanotte per ringraziarmi per un articolo. Intervistai Pinketts, una sola volta in occasione della morte di Severino Cesari, il geniale inventore della collana Einaudi Stile Libero. Insieme lavorarono a quello straordinario progetto della Gioventù cannibale. Anche in quell’occasione fu gentilissimo. Per una macabra ironia della sorte, un anno dopo morì lui. In quei terribili mesi che videro Andrea affrontare con coraggio un’insidiosissima malattia non lo chiamai, per pudore. Che gli potevo dire? Come stai? Se uno ha un tumore che vuoi che ti dica, che sta bene? Non eravamo in confidenza, non c’eravamo mai visti. Così mi limitai a monitorare il suo stato di salute che traspariva dai video presenti sul suo canale Youtube. Si intuiva il calvario di un corpo sempre più smagrito e indebolito. Gli amici non l’hanno dimenticato e si fanno in quattro per ricordarlo e celebrarlo. Hanno edificato un’associazione che onora la memoria di Andrea. Tante iniziative nella fondina a difendere il gran talento di un irregolare della scrittura. La più bella e audace ha visto la ristampa del primo romanzo pinkettsiano Lazzaro, vieni fuori, che vede la nascita del personaggio di Lazzaro Santandrea. Per l’occasione ho deciso di fare quattro chiacchiere con la madre dello scrittore, Mirella Marabese Pinketts. Vi esorto ad acquistare il libro: troverete quattro invitanti contenuti speciali e una bella prefazione di Andrea Carlo Cappi.
Sono un estimatore di suo figlio. Non ci siamo mai incontrati vis-à-vis, ma tante volte mi ha chiesto di andare a Milano a passare una serata a Le Trottoir o assistere a uno dei suoi mitici giovedì giallo. Dica la verità, cosa mi sono perso?
Si è perso la conoscenza fisica di mio figlio, il cui fascino era pari alla sua cultura, il suo modo d’incantare, di avvincere il suo pubblico. Afferma, e le credo, di essere un estimatore di mio figlio, del patrimonio culturale che ci ha tramandato attraverso i suoi libri, le sue prefazioni, le sue presentazioni generose, le sue poesie, che hanno arricchito le nostre vite, il nostro reale spesso deludente, il nostro immaginario che lui esprimeva in modo eclatante tanto che sembrava di poterlo toccare. Lazzaro, vieni fuori ne è la prova ed è uscito in questo periodo. Lazzaro rinasce ancora.
Andrea ha seminato bene, ha un sacco di amici che s’impegnano per progettare un ventaglio di iniziative, degne di un grande scrittore. Mi racconti il suo culto per l’amicizia.
È così: gli amici hanno grandi programmi per il futuro, anche se parlare di futuro per chi ci ha lasciato, è un po’ portatore di malinconia per la sua assenza fisica. Il tempo animato, come lei dice, di un grande scrittore, è pieno di promesse e presagi. L’amicizia è un sentimento più forte di qualsiasi rapporto umano, noi scegliamo gli amici, giusti o sbagliati che siano; se sono sempre al nostro fianco, fanno parte della nostra vita come fratelli. Andrea aveva, ha amici ai quali ha dato generosamente e ne è stato ricambiato in eguale misura, vincendo l’assenza fisica.
Andrea è stato un enfant prodige o un enfant terrible?
Andrea è stato sia un enfant prodige, sia un enfant terrible. Sempre autentico, nelle sue dolcezze e nei suoi momenti di ribellione. Ma, del resto, la sfido a trovare un genio, così è stato definito mio figlio, con un livello umorale e comportamentale sempre uguale. Non esiste proprio. Io, sua madre, mi sarei molto annoiata se non avessi con lui vissuto sulle montagne russe. L’adrenalina faceva scintille.
Cosa pensava del mondo editoriale?
Andrea non formulava critiche se non costruttive e foriere di un continuo movimento ascendente, ma era il suo mondo e lo viveva con l’onestà e la pulizia morale che lo ha sempre distinto. Certo, ha frequentato molte case editrici, non solo come autore ma anche come creatore e sostenitore di iniziative culturali, come il Seminario per Giallo e Bar che ha arricchito la cultura milanese di appuntamenti settimanali per ben venticinque anni. Ha visto nascere tante case editrici: alcune hanno spiccato il volo, altre hanno continuato a planare, altre ancora sono precipitate come Icaro. Ma lui è sempre stato pronto a sostenere i progetti editoriali che lo meritavano
Quali erano i suoi riferimenti letterari?
La sua passione per la letteratura, direi meglio, la sua vocazione, iniziò come accadeva allora a tutti i ragazzi: con i fumetti. Non ha mai abbandonato Tex, Zagor e gli altri eroi della Bonelli, così come poi non si è perso le uscite de Il Giallo Mondadori – di cui è stato a lungo collaboratore, oltre che giurato al Gran Giallo di Cattolica – e di Segretissimo. Le sue letture spaziavano dai classici ai contemporanei, dagli italiani agli stranieri, senza però fare distinzioni di letteratura alta o bassa, tra ciò che è considerato “cultura” e quanto viene classificato “di massa” o di “nicchia”. Per lui uno scrittore si deve alimentare di tutto, compresa la televisione e il cinema, anche di serie B. Come riferimenti, di sicuro c’erano autori come Hemingway e Bukowski, tanto amati dalla sua estimatrice Fernanda Pivano. Ma nei suoi libri si coglie, quantomeno come punto di partenza, anche l’influenza di un certo noir francese e, in particolare, dell’irriverenza di Frédéric Dard quando scriveva del commissario Sanantonio. Forse per questo i libri di mio figlio sono molto apprezzati in Francia, dove gli fu conferita una medaglia per meriti culturali e dove destò l’interesse del regista Claude Chabrol.
Le piacevano le scorribande metafisiche di Andrea riprese per Mistero, il celebre programma tv?
Il mistero lo affascinava ed era un attento osservatore dei suoi fenomeni, autentici o meno che fossero. Io, sua madre, mi accostai giovanissima come parte vibrante del mistero. Sono una medium e trasmisi a mio figlio la conoscenza e la curiosità per questo mondo che Andrea definiva “passaporto per l’ignoto”. Affrontava il mistero con mente aperta ma, naturalmente, con la stessa ironia con cui ammantava ogni argomento di cui si occupava.
A trent’anni di distanza torna in società il primo romanzo di Pinketts. Mi descriva questo ritorno così atteso dai fan.
Lazzaro non può morire, è un miracolo che ha compiuto Gesù all’epoca. Lazzaro, vieni fuori… e Lazzaro riprese vita. Ora, Gesù era solo ed erano altri tempi, nei quali la spiritualità vinceva sulla materia. Oggi tutta l’energia di cui siamo permeati non si disperde ma si ricrea, soprattutto in ogni particella pregna della personalità di chi è tanto rimpianto e non può dissolversi nell’eterea massa collettiva. Ecco perché l’Associazione Culturale ha sentito l’impellente necessità di riportare alla luce il valore letterario, umano, direi storico, del primo libro di Andrea, che è atteso come un miracolo dei giorni nostri. E’ come un messaggio, un ordine che premierà l’attesa.
Mi racconti qualcosa del Pinketts investigatore. In più di un’occasione mi pare abbia rischiato di morire…
Il distacco fisico nelle investigazioni di Andrea è stato sempre una sfida e mi ha procurato scompensi psico-emotivi che superai grazie a equilibrio e fatalismo, donando assoluta fiducia a mio figlio, vedendolo sempre come “il vincitore”. Ricordo quando, come giornalista investigativo, fu partecipe della vita dei clochard, quando subì (o meglio, finse di subire) il battesimo di Satana infiltrandosi in una famigerata setta nei panni di un musicista rock, quando si fece mormone e quando si mise sulle tracce del Mostro di Foligno. Il suo modo di lavorare lo portava a entrare nella notizia e viverla, per raccontarla con esperienza diretta. Un’esperienza di cui ha fatto tesoro come scrittore. Fu premiato per le sue inchieste come giornalista, ma forse la più importante fu quella che seguì in veste di “sceriffo”, dopo la nomina a investigatore comunale di Cattolica, per indagare sulle infiltrazioni della criminalità organizzata.
Nei libri di Andrea sono presenti tanti molti riferimenti biblici. Era credente?
I riferimenti biblici, lontana da me essere blasfema, il Corano, la filosofia di Budda, le profezie catastrofiche di Nostradamus, facevano capo alla sua cultura, al suo studiare e spalancare una porta aperta su ogni forma di espressione religiosa, da lui condivisa o meno. Andrea era un amante della parola, scritta, pensata, sognata, sempre però illuminata. Nel corso degli anni ne riparlammo. Io, emotivamente, spiritualmente, sono credente; scientificamente sono lucida e obiettiva, sono stata onorata dell’amicizia teneramente materna di Margherita Hack. Sono, come ognuno di noi, alla ricerca di una certezza. Da madre ho sempre pensato che se Dio esiste è un Dio d’amore che abbraccia tutti noi. E poi Andrea era un’anima pura, innocente, generosa. Quando mancò, la sua mano era stretta alla mia, lo accompagnai nel suo ultimo viaggio e ora mi assolvo dall’iter comune, Andrea mi sta sorridendo. Andrea è mancato da agnostico, quale si era sempre dichiarato.