Banche, shock NPL da Covid: nuova ondata in arrivo

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Pronta a travolgere non solo gli istituti bancari di casa nostra

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Il delicato tema della gestione degli NPL (non performing loans) sta scalando a tempo di record la classifica nell’agenda delle discussioni finanziarie, non solo a livello nazionale ma globale. Non è certo mistero, infatti, che la pandemia ha impattato pesantemente su famiglie e imprese già traballanti sul fronte del credito, moltiplicando la probabilità di insolvenze che andrebbero dritte a gonfiare i portafogli NPL bancari, da sempre sotto la lente d’ingrandimento.

Numeri monstre: secondo l’analisi della banca angloasiatica Hsbc, si passerà dai 584 miliardi di euro registrati sul finale dello scorso anno ai 974 miliardi del post Covid-19. Più 390 miliardi di euro, con Francia, Spagna e Italia tra i peggiori.

“Presto arriverà una nuova ondata di Npl sul mercato”. L’avvertimento, qualche giorno fa, è arrivato da Luciano Colombini, AD di Banca Ifis: “Come per gli altri mercati anche quello dei crediti non performanti entrerà in un nuovo ciclo economico: stimiamo una crescita delle esposizioni deteriorate nei bilanci delle banche”.

Gli Npl, i non profit loans ovvero i crediti deteriorati nei bilanci delle banche, aumenteranno infatti quest’anno dell’1,3% e il prossimo anno del 2,8% portando Npe ratio al 6,2% nel 2020 (in miglioramento grazie alle dismissioni di una serie di portafogli) e al 7,7% l’anno prossimo, quando il segmento imprese inciderà più del comparto famiglie. Queste le previsioni messe nero su bianco in uno studio di Banca Ifis presentate all’Npl Meeting 2020.

Ad alzare l’asticella dell’attenzione sulla questione, anche la Presidente della BCE, Christine Lagarde: “Nelle circostanze attuali è necessario che (le banche, ndr) stiano moto attente ai loro bilanci” e alle entità a cui hanno erogato credito “perché è chiaro che in alcuni settori ci saranno fallimenti e ci vorrà tempo per rientrare dalle difficoltà”. Del resto, per gli istituti di credito “agire in modo ragionevole è anche nel loro interesse”, ha detto durante il forum annuale di Sintra, in Portogallo, riportando con forza sotto la lente d’ingrandimento quella che per molti è una bomba ad orologeria pronta a esplodere.

In tutto questo, occorre ricordare che l’Italia è stato il primo paese europeo ad approntare il fondo di garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (GACS): in pratica, lo Stato si fa garante (dietro il pagamento di una commissione annuale) per lo smobilizzo dei crediti bancari in sofferenza.

 BAD BANK PRENDE QUOTA –  Già da diverso tempo, intanto il presidente del Consiglio di vigilanza della Bce, l’italiano Andrea Enria, è in pressing sulla creazione di una bad bank europea, accolta però con freddezza da Bruxelles. Adesso, però, in scia alla pandemia e alle sue conseguenze, il sentiment dell’esecutivo Ue sembra essere mutato e l’opzione, nell’ultimo periodo, ha preso quota.

“Una bad bank europea che smaltisca efficacemente i crediti deteriorati delle banche, che rischiano un’impennata con la crisi pandemica. Oppure – Piano B – una rete europea di band bank nazionali, che se ben allestita, e con rigorose condizionalità, riuscirebbe comunque a sostenere in maniera paritetica il settore nelle diverse economie. Questa la proposta rielaborata e rilanciata, a fine ottobre, dal numero uno della Vigilanza della BCE sulle banche,  in un articolo sul Financial Times intitolato “Sulla qualità degli attivi bancari stavolta dobbiamo fare meglio”.

Con “meglio” Enria intende “più rapidamente” perchè “a 12 anni dal fallimento di Lehman Brothers e a nove anni dal primo coinvolgimento del settore privato nella crisi del debito della Grecia – scrive – la qualità degli attivi bancari nell’area euro non è ancora tornata ai livelli pre-crisi”.

Stavolta comunque le condizioni sono cambiate. “Questa volta disponiamo di buone regole e politiche per affrontare i Npl in modo più rapido ed efficace. Le banche devono concentrarsi su un’ attuazione efficace e il momento giusto per farlo è adesso”, ha sottolineato Enria di recente.

Intanto, dall’Italia si “alzano” diverse voci. Come quella di Alberto Nagel, numero uno di Mediobanca per il quale la progressiva svalutazione dei crediti deteriorati fino al 100%, è “una norma sbagliata“, che “applicata nel post Covid è come una bomba atomica”.

Sulla stessa linea anche Giuseppe Castagna, amministratore delegato di Banco Bpm: “Da gennaio le regole sui finanziamenti e sulla possibilità di considerare deteriorato un credito si restringeranno invece di allargarsi come sarebbe normale in un periodo di crisi. Bisogna intervenire su queste regole”.


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