Durante il lockdown e nei mesi successivi le saracinesche della cartoleria Favia, una storia che a Bari risale al 1876, sono rimaste chiuse con un cartello che avvertiva “chiuso per inventario”. Ma alla fine le saracinesche sono rimaste inesorabilmente abbassate e la cartoleria di piazza Umberto non ha riaperto. Dire quanto sia dipeso dagli effetti dell’emergenza sanitaria o dalla crisi che appare ben lontana dall’essere superata è ovviamente difficile. Certo anche grandi catene non hanno escluso chiusure, anche in pieno centro a Bari. Inoltre anche le aspettative dei saldi estivi sono andate in gran parte deluse: secondo un sondaggio Confesercenti i cittadini, a fronte dei 146 euro spesi in media per acquisti nel periodo dei saldi 2019, quest’anno ne hanno speso 116 (- 20%) “Durante il lock down abbiamo perso dai 60 agli 80mila euro e ad oggi non so dire se saremo in grado di riprenderci o meno” spiega Giuseppe, 58 anni , un artigiano di Foggia che da anni è nel mondo delle porte blindate che vende in tutta Italia e anche all’estero. Con sei dipendenti da oltre 30 anni gestisce l’attività di famiglia aiutato anche dalle figlie. “Durante l’emergenza sanitaria – racconta – come moltissime altre attività siamo stati costretti alla chiusura. Abbiamo messo in cassa integrazione i nostri dipendenti e abbiamo perso molte commesse anche quelle estere. Oggi abbiamo ripreso ma non nascondo che abbiamo molta difficoltà a riprendere a lavorare. Oggi – continua con amarezza – non si spende più. Anche le giovani coppie che vengono a chiedere informazioni vogliono spendere sempre di meno. Dopo tanti anni di sacrifici chiudere significherebbe che abbiamo perso e che tutto è stato inutile – conclude – è anche vero che andare avanti è molto difficile. Perché non vediamo un bel futuro. Per noi e per i nostri dipendenti”. In un centro come quello di Taranto, dove molte vie hanno registrato, per motivi vari, una desertificazione commerciale già da alcuni anni, il post lockdown registra tante saracinesche chiuse. Nel raggio di qualche centinaio di metri hanno chiuso una gastronomia di asporto di tradizione, accorsata e presente da molti anni, come “Tangredi” e, dall’1 settembre, un negozio di abbigliamento che si era insediato in via D’Aquino in un edificio imponente e storico che, per tanti anni, è stato la sede del Banco di Napoli. Da Confcommercio però raccomandano cautela “nessun commerciante – spiegano – ammette esplicitamente di aver chiuso per il lockdown o per il Covid. Nè noi, come organizzazione di categoria, abbiamo riscontri certi su questo. Ma non escludiamo che il Covid e la chiusura forzata delle attività per un periodo di 75 giorni, abbiano dato un colpo decisivo a esercizi che già stavano in piedi precariamente”. Per molti esercizi il problema è che i costi di gestione ( a cominciare dal fitto dei locali ) non sono sostenuti dagli incassi . “La certezza che abbiamo – spiega Mario Raffo, presidente di Fedemoda Confcommercio Taranto – è che mentre la ristorazione in qualche modo si è risollevata ed ha ripreso a lavorare, anche se non per tutti è così, l’abbigliamento ha invece accusato una botta dura. Questo perché il nostro settore è stagionale, nel senso che i capi acquistati per la primavera 2020 e che tenevamo già in negozio quando sono arrivati Covid e lockdown, noi non li abbiamo potuti vendere quando abbiamo riaperto il 18 maggio. Una felpa, un maglioncino leggero, vanno bene a marzo ed aprile, non certo a maggio, che fa già caldo”. Intanto anche chi fa fatica ad andare avanti nega decisamente qualsiasi ipotesi di chiusura, magari anche contro l’evidenza, forse c’è quasi un pudore misto al senso di sconfitta, guardando comunque avanti o almeno con l’intenzione, non si sa quanto realistica, di riaprire almeno in futuro.