Il gioco è distruttivo perché se vai sotto sono botte pesanti per il portafoglio; se vinci, sei psicologicamente indotto a spese superflue o inutili. Nessun giocatore decide volontariamente di fermarsi. E ci si rimette tutto
(di Cesare Lanza per LaVerità) Oggi vi dirò alcune cose sul gioco d’azzardo, che conoscono solo pochi giocatori esperti o molto appassionati. Ad esempio, si ritiene che la roulette sia il gioco più conveniente, per il calcolo delle probabilità. Ma non è così. La roulette è certamente il più popolare, ma il trente et quarante (difficile, cioè complicato, e poco conosciuto) è assai più conveniente. Molti casinò neanche lo propongono, i più prestigiosi – presumo, per obbligo – aprono un tavolo solo per poche ore al giorno. Si giocava già alcuni secoli fa, nel 1600. Quanto alla roulette, è certamente avvincente il calcolo delle probabilità, con la vincita relativa. I numeri sono trentasette (trentasei più lo zero) e se vinci puntando su un numero in pieno il casinò ti paga trentasei volte la puntata. In realtà non è così: il croupier ti allunga trentacinque gettoni perché per consuetudine lascia sul tavolo il gettone vincente. Quindi, scendiamo a una vincita di trentacinque. Di più: sempre secondo consuetudine, il giocatore vincente lascia al croupier un gettone di mancia. E quindi la vincita scende da trentasei a trentaquattro. Ovviamente nessuno impedisce al giocatore di ritirare il gettone rimasto sul numero uscito! Ma rarissimamente ho visto farlo: per cabala si spera che il numero uscito possa ripetersi, anzi spesso ho visto il giocatore vincente aggiungere un altro gettone alla puntata, e anche più, confidando nella ripetizione. Io l’ho fatto spesso, nei momenti di presunta fortuna. E qualche volta la fortuna mi ha premiato. Ma alla lunga i conti finali ti dicono che si tratta di un errore. Così come la mancia al croupier. Nessuno, sempre per superstizione e per non sfidare l’irritazione dei croupier si rifiuta di lasciare la mancia. Una mia frequente battuta (solo in apparenza paradossale) è che potrei vivere economicamente più felice, se avessi indietro tutte le mance che ho dato in sessant’anni di gioco (e non solo di gioco!). Questa riflessione porta a una conclusione più aspra… Il gioco è distruttivo perché delle due l’una, se perdi sono botte vere e dure, pesanti per il portafoglio; se vinci, sei psicologicamente indotto a spese superflue o inutili, festeggiamenti a pranzo e cena, champagne, regali stupidi a mogli, amiche, figli e nipoti… Un altro grave errore alla roulette è quello di giocare molti numeri diversi, nella stessa puntata. I veri grandi giocatori puntano su un solo numero, con tutte le combinazioni possibili. Perché? Ad esempio: il 29 con sestine, terzina, carré, cavalli, ultima dozzina, il nero, il dispari… Se esce il 29 (o un altro numero con le stesse modalità) è un gran colpo, una vincita importante; se esce un numero correlato, poniamo il 26 o il 28 o altri ancora, riesci a recuperare il denaro della puntata o anche a vincere qualcosina. Ma, soprattutto, se disperdi le puntate su numeri diversi (perché hai ispirazioni incontrollabili, ti «senti» questo e quello e quell’altro), non tieni conto di un’analisi elementare: un solo numero uscirà, tutti gli altri sono già perdenti, prima che la pallina giri… La fortuna, alla roulette come in altri giochi e soprattutto nella vita, certamente è importante, ma non è sufficiente.
Decisiva è la condotta di gioco: la prudenza e il coraggio, secondo i momenti. Se resti al tavolo da gioco per ore e ore, facendo piccole puntate o peggio seguendo un «sistema», forse ti divertirai, ma quasi certamente perderai il gruzzolo che hai portato con te. Il banco ha importanti probabilità a suo favore, a lungo andare è destinato matematicamente a vincere. Il giocatore ha un solo vantaggio: se capisce che la fortuna non gira bene, può tranquillamente smettere, andare al bar, farsi una passeggiata, tornare in albergo… Il banco no, non può fermarsi o interrompere il gioco. Anche se si trova in una fase di pesante jella. Questo è il motivo per cui i casinò cambiano spesso i croupier ai tavoli. Non è un vantaggio da poco, per il giocatore! Immaginate un incontro di pugilato, in cui uno dei due pugili (il giocatore) abbia la possibilità – il privilegio – di fermare il combattimento quando voglia, allontanarsi dal ring per uscire da eventuali difficoltà, tirare il fiato, riposarsi e così via. Mentre l’altro pugile il casinò – è obbligato a restare sul ring, comunque. Il problema però è che nessun giocatore volontariamente decide di fermarsi: se vince, vuol vincere ancora, sempre di più e prima o poi perderà tutto; se perde, non accetta di ritirarsi in perdita, vuole rifarsi ad ogni costo, e quasi sempre perderà tutto, o sempre di più.
Ha scritto la moglie di Fedor Dostoevskji, il celebre scrittore russo che ha firmato II Giocatore, il più grande libro mai dedicato al gioco d’azzardo: «Fedja mi chiese ottanta fiorini e subito li perse. Poi se ne fece dare altri ottanta, tornò alla Spielbank e perse ancora. Ma volle anche gli ultimi quaranta fiorini che ci erano rimasti e non soltanto mi giurò che avrebbe riguadagnato tutte le somme perse, ma avrebbe anche potuto ritirare dal Monte di Pietà i miei orecchini e il mio anello che aveva dato in pegno per procurarsi altro denaro. Mi fece questa promessa parlando con un tono di grande convinzione, come se la futura vincita fosse dipesa soltanto dalla sua volontà. E, naturalmente, perse ancora». Questa pagina di diario risale al 22 agosto 1867. Il Giocatore è in gran parte autobiografico. La voglia di rifarsi dei giocatori perdenti (puntando ancora e ancora, fino agli ultimi spiccioli) è rimasta identica. La natura del giocatore è quella e mai cambierà.
Ha scritto in un bel libro sul gioco Enrico Altavilla (e condivido), un grande giornalista, inviato speciale del Corriere della Sera, e appassionato di gioco come me: «Al tavolo verde l’uomo ritorna bambino e riprende quei sogni ad occhi aperti che, da ragazzo, lo avevano portato a sterminare tutti gli indiani 0 ad arrivare per primo sulla luna. Sogni di onnipotenza che, quando siede al tavolo da gioco, lo portano continuamente ad immaginare che debba uscire il numero su cui ha puntato… A queste fantasie indulgono di solito i piccoli giocatori, quelli che non hanno mai il coraggio di mettere a rischio grandi somme e si contentano di piccole somme sul rosso o sul nero. Come sognare di vincere il primo premio di una lotteria senza aver acquistato il biglietto». Ho parlato prima dell’indispensabilità della prudenza, fin quando la fortuna non gira a tuo favore. Ma poi altrettanto essenziale è il coraggio. Ma pochi ce l’hanno. Prima cosa, devi puntare con i soldi della vincita, meglio ancora con una buona parte della vincita, e mettere in tasca il resto, e non toccarlo più. Faccio un esempio, approvato da alcuni importanti e anziani croupier. Alla roulette hai puntato dieci euro (l’entità dipende dalle possibilità economiche di ciascuno): hai trecentocinquanta euro in tasca. Devi metterne da parte cinquanta e saranno comunque la tua vincita ben custodita. Hai o non hai il coraggio di puntare trecento euro (non sono soldi tuoi, arrivano dal tavolo) su un altro numero, inseguendo l’attimo fuggente di un colpo di fortuna? Non credo che tu abbia questo coraggio e pochissimi ce l’hanno. Eppure: se perdi, non hai perso soldi tuoi, usciti dal tuo portafoglio e dai tuoi risparmi, ma hai puntato i soldi della vincita del colpo precedente; se vinci, hai realizzato un’impresa, senza rischiare i tuoi soldi, e portando i dieci euro iniziali – in due colpi – da dieci euro a diecimila e cinquecento. Non basta la fortuna, però! Ci vuole un grandissimo coraggio. Un’altra importante riflessione riguarda i procuratori, quasi tutti i giocatori di una certa importanza ne hanno uno. Sono quelli che ti fanno invitare da tutti i casinò del mondo, con un trattamento adeguato alla quantità e alla qualità del tuo modo abituale di giocare. Di solito, albergo e pasti sono gratis. A volte anche il viaggio. Se sei un fortissimo giocatore, il casinò ti consente di portare con te chi vuoi. Ho conosciuto certi personaggi, invitati a Las Vegas, con mogli o ragazze e amici: viaggio gratis e accoglienza da nababbo. Quasi tutti i procuratori (porteurs) che ho conosciuto sono ex giocatori incalliti e ostinati. Il procuratore è ricompensato così dal casinò: una percentuale sulle perdite dei giocatori, oppure una percentuale sulla quantità e l’entità delle puntate. Dopodiché i procuratori perdono regolarmente tutto o quasi tutto ciò che hanno guadagnato.
Un leggendario procuratore – defunto da qualche anno, ma ancora di lui si favoleggia, è stato il romano – romanaccio – Giacomo Gaggioli. Unico. Un leader, un protagonista. È interessante raccontarvi qualcosa di lui, ch’era di casa a Las Vegas, con i suoi innumerevoli invitati. Una volta di ritorno a Roma, all’aeroporto, un ispettore gli chiese: «Ma lei perché fa tutti questi viaggi a Las Vegas e ritorno? Cosa fa di preciso, qual è il suo lavoro?». E lui: «Io? Sono un lanciatore di dadi…». Replica: «Mi prende in giro?» «Macché! Lancio i dadi. Se vuoi, ti invito a Las Vegas, tutto a spese mie e vedrai che spettacolo». Lo show era assicurato e atteso da decine di curiosi e giocatori che lo conoscevano. Gaggioli si passava teatralmente i dadi di mano in mano, poi li scagliava con un urlo da cow boy. Fin quando i dadi non cadono sul tappeto, la puntata può essere annullata e qualche volta il nostro irresistibile personaggio lo faceva, con un urlo più eclatante del primo. Una volta, molto tempo fa, era ospite con tutta la sua banda, di Donald Trump ad Atlantic city nel lussuoso Tajmahall di proprietà del futuro presidente, che li invitò a cena e li portò a vedere le suite dell’albergo… Gaggioli non sapeva una parola di inglese, ma si comportava come se fosse lui il munifico proprietario. Straordinario nel farsi intendere senza sapere nulla della lingua. Negli Stati Uniti ai giocatori importanti i casinò restituiscono il 7 per cento del deposito. A Macao, dove si sì restituisce più omeno l’i per cento di ciò che si punta, Gaggioli si appartò con un cinese e solo il cielo sa come riuscì a negoziare, per tutti, un trattamento più favorevole. Diceva di essere laureato «pa a via» e chi non lo conosceva commentava: «Pavia? Ottima Università!» E lui: «Ma che ci hai capito? Io mi sono laureato per la via, per la strada…» Giocava anche ai cavalli. È rimasto memorabile un suo exploit senza precedenti. Aveva puntato una cifra notevole su un cavallo che stava perdendo: entrò in pista, gridando qualsiasi cosa e riuscì, così, fermando i cavalli, a far interrompere la gara. Era un grande, abilissimo pokerista. C’era addirittura chi sospettava che barasse o si aiutasse con qualche trucchetto sulle carte! Macché! Era pulito. Esperienza, intuito: un po’ di fortuna, con astuti bluff e comunque coraggio. Era impassibile, sia se vinceva sia quando perdeva. Diceva: «Mejo perde che nun giocà». Ma ciò che stabiliva la sua superiorità, umana e professionale, sui suoi colleghi, e giustifica lo spazio che gli sto dedicando, era la sua solidarietà con i suoi clienti. Adorava i giocatori che gli avevano accordato fiducia e lo avevano scelto come agente. Era generoso e combattivo: guai se il casinò commetteva qualche scortesia verso i suoi protetti. Improvvisava furiose schermaglie per difenderli, fino ad ottenere ragione e le scuse. E girava ai giocatori tutti gli omaggi che il casinò aveva previsto per i suoi viaggi. I suoi predecessori si imboscavano tutto… Ai suoi funerali parteciparono i più grandi giocatori del mondo.